venerdì 4 maggio 2018

Da una foto a Enrico Baj (inaspettatamente)



Questa foto, nota come La Marianna del Maggio '68 è stata pubblicata ieri notte dal mio amico Stefano sulla sua pagina Facebook, ma io l'ho vista stamattina. La conoscevo e l'avevo rivista non più di tre settimane fa, in Francia, dove in edicola trovi un sacco di celebrazioni del cinquantenario del Maggio '68.
Bella foto. Sulla quale ho voluto saperne un po' di più di ciò che ricordavo.
L'immagine, scattata del fotografo Jean-Pierre Rey, è diventata iconica perché fa l'occhiolino alla Liberté guidant le peuple, il quadro di Delacroix che in Francia è conosciuto quanto e più del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo in Italia.
La ragazza è Caroline de Bendern, che allora era una giovane modella. In un'intervista del 1997 a Le Monde, Caroline raccontava com'erano andate le cose:

Ci incamminiamo verso la [piazza della] Bastiglia. Mi sono appena arrampicata sulle spalle di un amico. Chiedono qualcuno per tenere una bandiera e io ho così male ai piedi a forza di camminare che colgo la palla al balzo. [...] La bandiera vietnamita mi va bene come simbolo di una guerra che tutta la gioventù denuncia. D'un tratto sento diversi obiettivi puntati su di me. È incredibile, li avvisto sempre. Una specie di fiuto, sono modella… Allora ho come un riflesso proflessionale. D'istinto mi raddrizzo, il mio volto si fa più grave, il mio gesto più solenne. Vorrei assolutamente essere bella e offrire al movimento una rappresentazione all'altezza del momento. In fondo, mi metto in posa. [...] Divento esattamente ciò che voglio sembrare. Non interpreto più un ruolo, sono fino in fondo nel movimento e nell'istante, e cosciente, io, l'aristocratica inglese, di una responsabilità.

Già, Caroline era, anzi è, visto che vive tuttora, un'aristocratica inglese, peraltro discendente da un bisnonno così aristocratico inglese che, vedendo la foto, fece il necessario per diseredarla. Oggi Caroline vive in Normandia ed è tornata brevemente alla ribalta in Gran Bretagna poco più di due anni fa, come attivista anti-Brexit.
Pare che il giovane (che non si vede) sulle spalle del quale è seduta sia Jean-Jacques Lebel, che allora era il traduttore in francese di Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, Burroughs e altri, ma che poi è diventato pittore e soprattutto organizzatore di happening. Suo padre era il critico d'arte Robert Lebel, noto per il suo saggio su Marcel Duchamp, di cui fu amico, e per i suoi legami sia con i pittori surrealisti che con Claude Lévi-Strauss e Jacques Lacan.
Scopro con una certa sorpresa su internet che secondo alcuni fu proprio Jean-Jacques Lebel ad avere l'idea di un grande quadro collettivo dipinto a Milano nel 1961. Il quadro è intitolato Grande quadro antifascista collettivo e ha una storia travagliata.
Intanto gli autori: su internet trovo i nomi di Jean-Jacques Lebel, Erró (al secolo Guðmundur Guðmundsson), Enrico Baj, Roberto Crippa, Gianni Dova, Antonio Recalcati. Nella sua Automitobiografia però Baj cita sì Crippa e Recalcati, però anche Wilfredo Lam e Victor Brauner, mentre non cita Dova, Erró e Lebel.
Poi la vicenda: pochi giorni dopo l'apertura della mostra collettiva nella quale veniva presentato, il quadro fu sequestrato dalla polizia, su ordine del procuratore Luigi Costanza, per offesa a Capo di Stato estero, in questo caso Papa Giovanni XXIII. Vero è che da qualche parte su quella grossa tela c'è incollata una piccola foto del Papa di allora, ma se uno non lo sa, magari fatica anche a trovarla. Comunque sia, il quadro fu staccato dal muro, arrotolato e portato via. Poi sparì per 27 anni.
È solo nell'88 che Baj riuscì a recuperarlo, cosa che sorprese anche lui, come mi raccontò poi nei dettagli durante una di quelle lunghe chiaccherate che ci facevamo nel suo studio. Più tardi è stato esposto al Louvre di Lens (succursale di quello di Parigi), al Beaubourg, a Vienna, agli Invalides, per finire poi al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Strasburgo, dove l'ho visto, forse una dozzina di anni fa.
E tutto questo mi conferma una volta ancora l'esattezza della teoria dei sei gradi di separazione, che sostiene che a qualsiasi abitante della Terra è possibile entrare direttamente in contatto con qualsiasi altro passando da non più di 5 intermediari. In questo caso preciso, se volessi mettermi in contatto con Caroline mi basterebbe chiamare la vedova di Enrico Baj, Roberta, che non avrebbe difficoltà a mettersi a sua volta in contatto con Jean-Jacques Lebel, che a sua volta… e voilà. Il gioco sarebbe fatto in tre, massimo 4 passaggi.Detto questo, non vedo perché vorrei mettermi in contatto con Caroline, ma non importa.
Oltre tutto, l'unico passaggio che a questo punto mi interessa davvero è quello tra me e la caffettiera, quindi ti lascio e vado a farmi indovina cosa. 

 Caroline de Bendern, un anno fa