venerdì 27 ottobre 2017

Poi finisco sempre sul sito della Crusca

La Sala delle Pale dell'Accademia della Crusca




Stavo leggendo un articolo di giornale quando sono incappato nell'aggettivo gerosolimitani. Il contesto rendeva chiaro che i gerosolomitani sono gli abitanti di Gerusalemme. Lo ignoravo.

Mi è allora venuto in mente che in Francia gli abitanti della città di Charleville-Mézières si chiamano carolomacériens. Chissà se in italiano si chiamano carolomaceriani, mi sono chiesto. Ho cercato e non ho trovato. La cosa non mi ha stupito, visto che gli italiani che conoscono anche solo l'esistenza di Charleville-Mézières sono pochi. La conosciamo noi marionettisti, visto che è lì che si svolge il più importante festival di teatro di marionette del mondo, e forse la conosce qualche specialista rimbaldiano, ovvero amante di Rimbaud, che di Charleville-Mézières è stato il più famoso rampollo, o magari qualche dotto studioso della vita e delle gesta di Carlo I Gonzaga, che oltre ad avere fondato quella città è stato anche Duca sia di Mantova che del Monferrato. Ma è vero che anche messi tutti insieme, quei marionettisti e quegli specialisti non riempirebbero nemmeno mezzo stadio di football di una squadra di Serie B.

Certe volte però se non trovi subito una cosa su Wikipedia in una lingua è possibile trovarlo cercando in un'altra. Sono andato sulla pagina Wikipedia di Charleville-Mézières in francese e ho trovato conferma del nome dei suoi abitanti. La cosa che però mi ha incuriosito è stato che quel nome, carolomacériens, è definito come gentilé. Ancora una parola sconosciuta. Ho cliccato su gentilé e poi, vedendo che esisteva anche una pagina in italiano sulla stessa parola sono andato a guardarmela. In italiano però mi si è aperta una pagina intitolata Etnico (onomastica). Il mistero si infittiva.

Ho visto che in italiano l'etnico, o demotico, o patrionimico, o antrotoponimo, è il nome o aggettivo che descrive come vengono chiamati gli abitanti di un Paese, di un'area geografica, di un insediamento urbano come frazioni, comuni, o città. […] Talvolta si usa, allo stesso scopo, gentilizio, (nome gentilizio, specie in riferimento alla classicità) che però, a rigore, è di una famiglia o di una stirpe. Lo ctetico in greco e latino era l'aggettivo etnico, per esempio Gallicus e Germanicus; oggi questa distinzione non è usata, se non per indicare l'aggettivo riferito a cose, come romanesco invece di romano.

A me queste cose piacciono un sacco. Non so perché, ma quando le scopro godo come un grillo.

Così mi sono letto tutta la pagina, nella quale sono presenti vari etnici irregolari, sia nazionali che geografici e di città. Alcuni li conosciamo tutti: sappiamo che un abitante del Bangladesh è un bengalese, che uno dell'Azerbaigian è un azero (anche se in quel Paese vivono dei non-azeri come i gekad), così come uno che viene dalla valle del Po gode del limnonimo padano e un abitante delle Fiandre del coronimo fiammingo.

Sì, vabbè, neanche io avevo mai sentito parlare di limnonimi (dal greco λίμνη, acqua stagnante, palude, lago, e onimo) e di coronimi (dal greco χώρα, regione, e onimo), ma non importa. Anzi, è bello avere scoperto anche quelle due parole. Ma soprattutto è bello avere scoperto che gli abitanti di Città di Castello sono i tifernati (dal latino Tifernum, antico nome della città), che quelli di Poggibonsi sono i bonizesi (da Poggiobonizio, antico nome della città, derivato lui stesso da tale Bonizzo Segni, signore del luogo) e che quelli di Grottaferrata si chiamano criptensi per via di un gustoso aneddoto che ti copio integralmente: quando, nel 1004, San Nilo da Rossano ed i suoi seguaci presero possesso del terreno rurale occupato da ruderi di una villa romana, che Gregorio I dei Conti di Tuscolo aveva loro donato come residenza, notarono subito un locale a volta quasi perfettamente conservato dotato di una finestra con ferrata. Probabilmente il primo accampamento dei monaci fu nei paraggi, se non all'interno, della “cripta” ferrata, che diventò elemento caratterizzante del territorio: lentamente l'area, che non aveva una denominazione specifica, prese nome di Cryptaferrata.

Ma soprattutto (soprattutto!) la mia piccola, inutile e quindi goduriosissima ricerca mi ha fatto scoprire l'esistenza di un'opera di Teresa Cappello e Carlo Tagliavini intitolata Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani, che mi è parsa così indispensabile da volermela procurare immediatamente in versione digitale al modico prezzo di 9,90€.

Su Google ho trovato un pezzo dell'introduzione all'edizione digitale, scritta dal Professor Paolo D'Achille, docente di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi Roma Tre, nonché socio ordinario dell’Accademia della Crusca, direttore de La Crusca per voi, periodico dell'Accademia) e responsabile del servizio di consulenza della stessa. Il Professor D'Achille mi ha fatto salivare informandomi che il Dizionario contiene un repertorio vastissimo (circa 13.000 voci), pressoché completo dei toponimi italiani (o, per meglio dire, dei poleonimi, cioè delle denominazioni dei centri abitati, non limitandosi ai comuni, ma comprendendo anche molte piccole frazioni), corredati dalle denominazioni dei rispettivi etnici. Gli uni e gli altri sono forniti sia nella forma italiana (spesso, nel caso degli etnici, più di una), sia in quella dialettale (con indicazioni sulla pronuncia), e ciò dimostra che l'opera è frutto di una ricerca (ampia e accuratissima) condotta non solo in archivi e biblioteche, ma anche “sul campo” (grazie a inchieste e interviste.

Sì, lo so, uno che scrive usando tutte quelle parentesi e permettendosi anche di mettere una e dopo una virgola può apparire indigesto a molti. Soprattutto nai talebani della lingua. Certo non a me. A me capita di usare la e dopo una virgola, cerco solo di farlo quando ha un senso. A questo proposito non posso peraltro che consigliarti la lettura dell'interessante post Uso della virgola prima della congiunzione e, di Marina Bongi, che troverai qui, sul sito della Crusca. A proposito delle parentesi, ecco qui, sempre sullo stesso sito, il post La punteggiatura, di Mara Marzullo, altrettanto istruttivo.

Adesso basta, devo proprio andare a fare la spesa alla Coopo colligiana (o collegiana, ché entrambi gli etnici sono corretti).