sabato 8 luglio 2017

Un grande poeta

La tomba di Sarmad, a Delhi



Non so dirti perché mi piaccia la musica classica persiana. So dirti ancora meno perché della Persia classica mi piaccia molto pure la poesia. Ma è così e non posso farci niente. Quindi sono stato molto contento quando qualche frase nell'ultimo libro di Arundhati Roy, "Il ministero della suprema felicità," mi ha fatto scoprire un poeta persiano che non conoscevo, Sarmad Shaheed, o, se vogliamo pure mettergli il tradizionale titolo onorifico, Hazrat Sarmad Shaheed.
Sarmad era sì persiano, ma di lingua, perché di famiglia era ebreo e in più viveva in Armenia. Il che già me lo rende simpatico e interessante: ebreo, che parla la lingua di un paese musulmano e vive in un paese cristiano (mai dimenticare che l'Armenia è stato il primo paese della storia a dichiararsi ufficialmente cristiano). Cose quasi impensabili al giorno d'oggi.
Il padre di Sarmad faceva il mercante. Ora, com'è come non è, al giovane arrivò l'informazione che in India gli oggetti d'arte persiana  si vendevano molto bene. Detto fatto, ne radunò una certa quantità e partì verso est. Anzi, per dire tutta la verità partì verso sud, per girare a est solo una volta arrivato in Persia, visto che la strada verso l'India passava da Ispahan. 
Arrivato nella città di Thatta, nell'attuale provincia pakistana del Sindh, incontrò un giovane induista, Abhay Chand, e se ne innamorò perdutamente. Da un giorno all'altro rinunciò alle sue ricchezze, rinunciò pure a vestirsi e si mise ad andare in giro nudo per le strade, come lo facevano i sadhu, gli asceti induisti. Ogni mattina andava a sedersi sui gradini della casa nella quale abitava Abhay e se ne stava lì ad aspettare, per ore. Alla fine il padre di Abhay, commosso da quella perseveranza e dalla purezza dei sentimenti dell'asceta verso suo figlio, lo invitò ad entrare. L'amore di Sarmad fu pienamente ricambiato da Abhay, così i due lasciarono Thatta e dopo varie peregrinazioni finirono con l'arrivare a Delhi.
L'imperatore dell'India a quei tempi era quello Shah Jahan che fece costruire sia il Forte Rosso che la Grande Moschea di Delhi, ma anche e soprattutto il Taj Mahal di Agra, che tra tutte le cose belle che ho avuto la fortuna di vedre in vita mia è di sicuro la più bella. 
Jahan aveva tre figli, Dara Shikoh, Shah Shujah e Aurangzeb. Il primogenito, Dara Shikoh, era un musulmano estremamente tollerante che si riconosceva nel sufismo, quella scuola di pensiero mistico lontana dall'instransigenza dei mullah almeno quanto il francescanesimo cristiano lo è stato dal fanatismo dei Crociati. È del tutto naturalmente che Dara si avvicinò a Sarmad, del quale si mise a seguire gli insegnamenti.
Purtroppo alla morte di Shah Jahan fu il suo terzo figlio, Aurangzeb, un musulmano intransigente, fautore della sharia, che si impadronì del trono dopo avere sconfitto in battaglia i suoi due fratelli — che più tardi farà uccidere, ma questa è un'altra storia. Siccome il primo dei due, Dara, era stato un devoto di Sarmad, Aurangzeb fece arrestare l'ormai vecchio saggio e lo condannò a morte. Sarmad fu decapitato e la sua testa rotolò nella polvere nei pressi della porta est della Grande Moschea, dove ancora oggi la sua tomba è meta di pellegrinaggi.
Dei suoi componimenti poetici, 334 rubayyat, o quartine, sono giunte fino a noi. Tra queste ce n'è una nella quale lui stesso riconosce come suoi maestri due grandi poeti persiani, Khayyam e Hafez. Il primo, che oltre ad essere poeta fu anche un importante matematico, al quale dobbiamo la codificazione dei principi dell'algebra e la soluzione delle funzioni cubiche, era nato nella provincia persiana del Khorasan nel 1048. Il secondo, considerato il più grande poeta persiano della storia, nacque a Shiraz nel 1315. Entrambi celebrarono l'amicizia, il vino e l'amore ed entrambi stigmatizzarono l'ipocrisia religiosa. Ricordo ancora con una certa emozione il giorno in cui ebbi l'occasione di visitare la tomba di Hafez, nei giardini Musalla, nella periferia nord di Shiraz.
Non ho trovato traccia di una traduzione italiana delle quartine di Sarmad. Ne esiste una in inglese, accompagnata da una nota biografica di tale Paul Smith, traduttore anche di vari altri poeti classici persiani. Amando quel genere di poesia, mi sono ovviamente subito scaricato quel libro, del quale prevedo una lettura goduriosa.
Magari mi dirai che la poesia persiana del XVII secolo, per non parlare di quelle dell'XI e del XIV, ti interessa quanto la scultura proto-bizantina dell'Anatolia settentrionale, o quanto la composizione di canzonette da minatori nell'Alaska degli anni 30 del '900, ma avrai torto. Almeno a mio modesto avviso.
Io te l'ho detto. Mo' vedi tu.
Tanto per farti un esempio, questa quartina che traduco da una traduzione inglese, quindi da prendersi con tutte le pinzette possibili, mi dà grande gioia.

Sono una cosa inutile. Un albero che non dà frutti.
Avendo calcolato il mio valore ho capito.
Sono la più piccola particella
che non è nemmeno inclusa nel calcolo.