lunedì 22 settembre 2014

Il poeta della settimana: Bashō

Matsuo Bashō

Dopo Ferlinghetti la scorsa settimana, ecco il mio secondo poeta della settimana: Matsuo Bashō. Nato nel 1664 e morto nel '94, è considerato il maestro dell'haiku. Il che mi permette di dar sfoggio di un po' di (falsa) erudizione.

Un haiku è un tipo di poesia che incominciò a diffondersi in Giappone nel '600. È composto da tre versi, rispettivamente di 5, 7 e 5 more. Cosa fosse una mora non lo sapevo neppure io prima di scoprirlo su internet qualche minuto fa, ma mò te lo spiego.
La mora non è una sillaba. È, fondamentalmente nella prosodia greca e latina, la minima unità di misura del ritmo, corrispondente a una sillaba breve. In linguistica invece è la durata di una vocale breve o di una consonante implosiva.
Ho trovato qualche spiegazione supplementare su un altro sito:
"Fin dai primi tempi c'è stata una certa confusione tra i termini Haiku, Hokku, e Haikai. Il termine hokku significa letteralmente 'verso iniziale' ed era il primo anello di una più lunga catena di versi conosciuta come haikai. Poiché l' hokku dava il tono al resto della catena poetica, svolgeva un ruolo privilegiato nella poesia haikai e non era raro che un poeta componesse un hokku indipendente senza poi andare più in là.
In gran parte grazie al lavoro di Masaoka Shiki, questa indipendenza fu formalmente stabilita nell'ultimo decennio dell'800 attraverso la creazione del termine haiku. Questa nuova forma di poesia doveva essere scritta, letta e intesa come una poesia indipendente, completa in sé stessa, invece che che come parte di una più lunga catena.
Quindi in un certo senso la storia dell'haiku inizia solo negli ultimi anni dell'800. I famosi versi dei maestri del periodo di Edo (1600-1868), come Basho, Yosa Buson e Kobayashi Issa, sono quindi degli hokku e vanno visti nella prospettiva della storia dell'haikai anche se oggi vengono generalmente letti come haiku indipendenti."
Detto questo, torniamo a Bashō.
È nel '72, credo a New York, che trovai un libretto della Penguin Books intitolato The narrow road to the deep North and other travel sketches (La stretta strada verso il profondo nord e altri schizzi di viaggio). Perché comprai quel libro, non ricordo. Il Giappone non mi è mai particolarmente interessato, ma può darsi che qualcuno mi avesse consigliato quel libro particolare. È una specie di diario di viaggio, molto meditativo e zen. Bashō racconta le sue giornate in prosa, a schizzi, intercalando la narrazione con i suoi haiku (o hokku, o come ti fa più piacere).

La poesia che ti propongo oggi è una delle più famose ed è conosciuta come L'haiku della rana. In giapponese fa così:

Furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto

Il che, tradotto letteralmente, significa:

Vecchio stagno
rana si è tuffata dentro
rumore d'acqua.

Dal che dovrebbe apparirti ovvio che tradurre un haiku è praticamente impossibile. D'altronde su un altro sito anglofono ho trovato ben 30 traduzioni dello stesso poema, che vanno da Into the ancient pond / A frog jumps / Water’s sound! (Nell'antico stagno / salta una rana / Rumore d'acqua!) a A lonely pond in age-old stillness sleeps ... Apart, unstirred by sound or motion.... till / Suddenly into it a lithe frog leaps (Uno stagno solitario dorme in un'immobilità antica... / Più in là, indisturbato da suoni e movimenti... / Improvvisamente un'agile rana vi si butta dentro).
Vabbè, sono conscio del fatto che qui ho già perso la metà dei miei lettori. Quindi la smetto. Forse ciò che mi affascina negli haiku è che siano così lontani da me, dal mio modo di pensare e di sentire. Qualche volta fa bene andare a dare un'occhiata altrove.

Nel vecchio stagno
una rana si tuffa.
Rumore d'acqua.

venerdì 19 settembre 2014

Se...


  • Se fossimo stati noi a dover imparare fin da bambini che i nostri fratelli valevano più di noi
  • se fossimo stati noi a dover imparare fin da bambini che era più importante essere carino che essere intelligente
  • se fossimo stati noi a dover imparare fin da bambini che più tardi avremmo dovuto servire la persona che avremmo amato
  • se fossimo stati noi a dover imparare fin da bambini che quello che sarebbe diventato il nostro lavoro principale non sarebbe stato considerato un lavoro
  • se fossimo stati noi a dover imparare fin da bambini che il rosa è un bellissimo colore e che Hello Kitty è molto simpatica
  • se fossimo stati noi a dover imparare più tardi che gli sguardi di chi ci spoglia con lo sguardo sono complimenti
  • se fossimo stati noi a dover imparare che saper fare da mangiare è un obbligo per noi e un'opzione per gli altri
  • se fossimo stati noi a dover imparare che le parole di chi ci tratta con parole che non accetterebbe mai per sé sono espressioni di apprezzamento
  • se fossimo stati noi a dover imparare che tradire è una colpa mentre essere traditi non è poi così grave
  • se fossimo stati noi a dover imparare a dipingerci la faccia
  • se fossimo stati noi a dover imparare a sculettare
  • se fossimo stati noi a dover imparare a sorridere sempre e comunque
  • se fossimo stati noi a dover imparare a essere bravi due volte più di un altro per essere considerati uguali a un altro
  • se fossimo stati noi a dover imparare a ridere a battute e barzellette nelle quali si parla di noi come di una sottospecie
  • se fossimo stati noi a dover imparare a fingere di provare piacere
  • se fossimo stati noi a dover imparare a sentirci dire che la violenza subita ce l'eravamo cercata
  • se fossimo stati noi a dover imparare a trovare normale di vedere quelli come noi semi-nudi e con le labbra aperte sui cartelloni pubblicitari
  • se fossimo stati noi a dover imparare ad accettare di essere sempre pagati meno degli altri
  • se fossimo stati noi a dover imparare a firmare lettere di dimissioni con la data in bianco nell'eventualità che decidessimo di avere un figlio
  • se fossimo stati noi a dover imparare a che i principali pittori, scultori, scrittori, registi, attori, cuochi, filosofi, poeti, storici, giornalisti, politici e chi più ne ha più ne metta, del mondo sono sempre stati gli altri
  • se fossimo stati noi a dover imparare che essere il marito di qualcuno d'importante dev'essere sufficiente a farci felici
  • se fossimo stati noi a dover imparare ad accavallare le gambe quando ci sediamo
  • se fossimo stati noi a dover imparare a memoria la lista di tutte quelle cose che se le fanno quelli diversi da noi va tutto bene ma se le facciamo noi siamo volgari
  • se fossimo stati noi a dover imparare a dire di uno tenace, resistente e deciso che "ha una figa così"
  • se fossimo stati noi a dover imparare che andare a letto con più di una persona è infamante per noi e valorizzante per gli altri
  • se fossimo stati noi a dover imparare a farci toccare il culo in metropolitana, alle 8 del mattino, senza dire niente perché tanto non servirebbe a niente
  • se fossimo stati noi a dover imparare che la figlia di Dio non era un figlio e che Dio stesso non è padre
  • se fossimo stati noi a dover imparare che non importa se non ci piace pulire la casa, l'altro non ha tempo per occuparsene
  • se fossimo stati noi a dover imparare a essere forti e a farci chiamare il sesso debole
  • se fossimo stati noi a dover imparare che se abbiamo un incidente con la macchina è perché siamo tutti così
  • se fossimo stati noi a dover imparare che nella nostra lingua tutto ciò che non è maschile è automaticamente femminile
forse avremmo anche imparato a dire e a fare meno cazzate.

mercoledì 17 settembre 2014

Amici

Stamattina ho messo ordine tra i miei amici. Era ora.
Adesso me ne ritrovo solo più 509. Sì, lo so, ho tanti amici.
Molti non li conosco. Altri so chi siano ma non ci ho mai parlato. Ma siamo amici lo stesso. Ho amici europei, nord e sud-americani, africani, asiatici e...
Cachicchio, come si chiamano gli abitanti dell'Oceania? Oceanici o oceàni?
Mi metto a cercare su internet. Niente. Nemmeno sulla Treccani. Nemmeno sul sito dell'Accademia della Crusca. È una svista o è una cosa così ovvia che nessuno si è preso la briga di spiegarla e che io sono l'unico a non sapere?
Mi metto a riflettere. Lo so, è raro, ma mi capita. Cerco il nome di una città che termina per -ania. Non lo trovo. Mi viene in mente che gli abitanti della Lucania sono i lucani, ma basterà?. Cerco il nome di un paese che termina in -ania.
Mi viene in mente la Tasmania, che non è un paese. E comunque non so se sia abitata da tasmani o da tasmanici. So solo che là ci abita il diavolo della Tasmania. Echissenefrega.
Ci sono! Lituania. I cui abitanti non sono ovviamente i lituanici ma i lituani.
Solo un istante dopo mi viene in mente la Germania. E mi chiamo Schuster.
Problema risolto: ho anche amici oceàni.
Ovviamente sto parlando di Facebook, che noi amici chiamiamo Fb. Ho 509 amici su Fb. Perché? Ottima domanda. Mi ringrazio di essermela posta e cerco una risposta.
Immagino di essermi registrato su Fb per curiosità, non ricordo. Dopo un po' ho incominciato ad accorgermi che la cosa poteva essere utile per avere notizie rapide di amici e famigli lontani. Anche perché non ho mai saputo parlare al telefono. Ovvero, se telefono è per dire qualcosa e se qualcuno mi telefona spero che sia per lo stesso motivo. Non sono capace di chiacchierare al telefono. Il risultato è che telefono pochissimo e ricevo pochissime telefonate. Il che mi va benissimo.
Il problema di Fb è che dopo un po' il numero di amici tende ad aumentare in maniera esponenziale. Prima ci sono i semplici amici che ti chiedono di diventare amici su Fb; ma poi ci sono gli amici degli amici, gli amici degli amici degli amici e poi degli sconosciuti con i quali non hai nemmeno un amico in comune (almeno nessun amico su Fb). E incominciano i problemi.
I problemi li creano soprattutto quelli che danno la forte impressione di credere che l'esistenza terrena sia poca cosa quando non è accompagnata da un'esistenza facebookiana fatta di dozzine di foto del piatto che stanno mangiando, della moglie / marito / compagno / compagna sulla spiaggia di Cesenatico, dell'autoritratto (pardon, selfie) davanti alla scalinata di Trinità dei Monti, alla Torre Eiffel o alla fontana di Piccadilly Circus, nonché dalla pubblicazione di massime e proverbi scartate dal responsabile delle massime e proverbi dei baci Perugina perché troppo melensi, di foto di gattini, di perentorie affermazioni a favore della pace nel mondo, di insulti più o meno triviali lanciati a uomini politici di ogni parte, di foto e immagini a carattere così sessista che anche un berlusconiano doc le troverebbe imbarazzanti, di inviti a giocare a 1218 giochi online, 2416 test di intelligenza, 3172 "che ti po di... sono", e altri inviti a "condividere" notizie e informazioni che mi interessano quanto la lunghezza media del pene dei maschi delle zanzare.
Allora stamattina ho messo ordine tra i miei amici di Fb. Ovvero, ho incominciato a mettere ordine, perché questo sarà un progetto di lunga durata.
Ho incominciato dando un'occhiata alla lista di persone che mi avevano domandato l'amicizia e alle quali non avevo risposto. Varie dozzine. Sconosciuti per la maggior parte, qualche conosciuto di vista, un paio di amici nella vita vera la cui domanda mi era sfuggita. Per questi ultimi la scelta è stata facile: ho accettato. Ma per gli altri?
Ci ho pensato su e ho deciso di procedere scientificamente, scegliendone uno sì e uno no nell'ordine nel quale mi erano arrivate le richieste. Dopo un po' però ho incominciato ad annoiarmi e no ho scelti due sì e uno no, poi due no e uno sì, poi sono andato sempre più a caso.
Diciamo la verità: all'inizio mi ci ero messo seriamente. Davanti a un nome che non riconoscevo guardavo prima l'eventuale lista di amici comuni (sempre di amici di Fb parliamo, ovviamente), poi le foto. Quelli che non avevano foto di sé che mi avrebbero eventualmente permesso di riconoscerli li ho eliminati senza problema.
Con gli altri è stato più complicato. Quelli che avevano troppi amici in comune, metti 38 e 49, mi hanno dato l'impressione di essere troppo a rischio, troppo facebookiani. Vuoi vedere che poi questi mi inondano le schermo di gattini e di foto a Cesenatico? Via!
Quelli che avevano solo due o tre amici in comune e questi amici erano solo vaghe conoscenze professionali mi hanno dato l'impressione, non so bene nemmeno io cosa, ma ho eliminato anche loro. Via!
Gli altri li ho accettati o rifiutati secondo lo schema scientifico di cui ho già parlato.
Adesso non mi rimane che cancellare definitivamente i seccatori. E la cosa sarà lunga. Già in queste ultime settimane ne ho cancellati sette o otto. Ce n'erano due per esempio, un italiano e un'oceàna, che, presi da ciclici raptus, arrivavano a pubblicare fino a 30 idiozie in un giorno solo. Via!
Un altro pubblicava praticamente solo foto di sé stesso in costume da bagno, in mutande, vestito di tutto punto, per strada, in casa, in treno, in macchina. Via!
Un paio d'altri, che si credevano di sinistra, erano delle specie di pubblicità viventi per il Partito Qualunquista. Via anche loro!
Detto questo, me ne restano 509. Cosa me ne faccio di 509 amici su Fb?
Medito un virtuale sterminio di massa.

martedì 16 settembre 2014

Il poeta della settimana: Ferlinghetti

Lawrence Ferlinghetti

Ho deciso che nei prossimi mesi (non so quanti) pubblicherò una poesia alla settimana. Già vedo il panico nei tuoi occhi, ma non ti preoccupare: non saranno poesie mie. Saranno poesie scelte a caso, ma non tanto, tra quelle che hanno contato a un momento o all'altro della mia vita.
Quando mi è venuta l'idea, la prima poesia alla quale ho pensato è stata Junkman's obbligato, di Lawrence Ferlinghetti.
È stata pubblicata nel 1958 nel volume A Coney Island of the mind, uno dei più importanti della beat generation della quale fecero parte, oltre a Ferlinghetti, Ginsberg, Corso, Kerouac e altri.
Incominciamo dal titolo, che in italiano è lungi dall'essere convincente, almeno a prima vista: L'obbligato dell'uomo della spazzatura. Obbligato è qui un sostantivo, come lo suggerisce l'articolo. Musicalmente parlando, un obbligato è un po' l'opposto di un ad libitum, vedi il vocabolario Treccani: "Nella musica strumentale dei sec. 17° e 18°, indicazione riferita a uno o più strumenti le cui parti non possono essere sostituite: violino o., flauto o. (al contr., le parti strumentali che possono essere omesse portano l’indicazione ad libitum).
Quando Ferlinghetti scrisse questa poesia la pensò come un testo da recitare con un accompagnamento jazz, prevedendo quindi delle improvvisazioni musicalI su un obbligato testuale.
Io il Junkman's obbligato l'ho scoperto nella seconda metà degli anni '60 e da allora alcuni versi mi sono rimasti scolpiti nella mente:

Voglio scendere nella scala sociale.
L'alta società è la bassa società.
Sono un arrampicatore sociale
che si arrampica verso il basso
E la discesa è difficile.

Ferlinghetti ha oggi 95 anni e a quanto ne so è sempre rimasto fedele allo spirito di questi versi che per me sono stati una costante fonte d'ispirazione.
Due ultime cose: prima di tutto, come lo farò ogni qual volta mi sarà possibile, dopo il testo in italiano pubblico l'originale; seconda cosa, come eviterò di farlo ogni qual volta mi sarà possibile, la traduzione è mia.
Buona lettura. 

L'obbligato dell'uomo della spazzatura

Andiamo
Su
Andiamo
Svuotiamoci le tasche
E spariamo.
Mancando a tutti gli appuntamenti
E sbucando fuori mal rasati
Anni dopo
Vecchie cartine da sigarette
incollate ai pantaloni
foglie in testa.
Non preoccupiamoci
più
delle fatture.
Lascia che vengano
e che si portino via
tutte le cose
per cui pagavamo.
E noi con quelle.
Alziamoci e andiamo ora
dove la fanno i cani
Su in collina
dove tengono i terremoti
dietro le discariche
persi tra le condutture del gas e la spazzatura.
Guardiamo le discariche
per quello che sono.
Il mio paese piange per te.
Scompariamo
dentro cimiteri di automobili
e risbuchiamo fuori anni dopo
impacchettando stracci e giornali
asciugando i nostri cassetti
su fuochi d'immondizia
con le pezze al culo.
Non stiamo lì
a dire arrivederci
a nessuno.
Le tua donna non ci rimpiangerà.
Andiamo
puzzando di combustibile
dove le panchine sono piene
di statue di provincia
nella notte buia dell'interno
di capanne fiorite
i nostri occhi umidi
nella contemplazione
di bottiglie vuote di moscato.
Recitiamo da bibbie rotte
agli angoli delle strade
Seguiamo cani ai dock
Recitiamo canzoni selvagge
Lanciamo pietre
Diciamo cose a caso
Strizziamo gli occhi al sole e grattiamo
e rotoliamo nel silenzio
Truffiamoci sui passi delle porte
Conosciamo puttane di terza mano
una volta che gli altri hanno finito
Barcolliamo ubriachi dentro tramonti sull'East River
Dormiamo dentro cabine telefoniche
Vomitiamo dentro banchi dei pegni
ululando per un cappotto invernale.
Alziamoci e andiamo ora
sotto la città
dove rotolano le pattumiere
e poi torniamo fuori con vestiti putridi
come re sotterranei
di gabinetti maschili della metropolitana
senza corona.
Diamo da mangiare ai piccioni
al Municipio
e spingiamoli a fare il loro dovere
nell'ufficio del sindaco.
Per favore sbrighiamoci è ora.
La fine si avvicina.
Inondazioni istantanee
Disastri solari
Cani abbandonati
Sorella per strada
col reggiseno alla rovescia.
Alziamoci e andiamo ora
nel profondo della notte scura
della capanna immobile dell'anima
e ritroviamoci di nuovo
dove le metropolitane si fermano e aspettano
sotto il Fiume.
Attraversiamo
verso la completa perplessità.
Il South Ferry non continuerà per sempre.
Stanno chiudendo il Bay ferry
ma non è ancora troppo tardi
per perderci dentro Oakland.
Washington non è ancora caduto
da cavallo.
C'è ancora tempo per prenderlo a sberle
e andare via
lasciandoci dietro la dichiarazione dei redditi
e anche l'orologio waterproof
barcollando ciechi dentro vicoli oscuri
sotto il ponte di Brooklyn
statue gonfiate dentro pantaloni troppo larghi
con le nostre grida da lattine e le nostre voci da pattumiera
in fila.
Si vende spazzatura!
Basta andiamo
nel vero interno del paese
dove regnano i banchi dei pegni
semplice anarchia non cieca su di noi.
Arriva la fine
ma il golf continua a Burning Tree.
Piove a dirotto
Il Vecchio russa.
Arriva un'altra alluvione
ma non del tipo che pensi.
C'è ancora tempo per annegare
e pensare.
Vorrei scendere in società.
Vorrei liberare la vita.
Swing low sweet chariot.
Non aspettiamo che le cadillac
ci portino in trionfo
nell'interno
salutando i nativi
come senatori romani nelle province
con in testa allori da poeta
su sopracciglia illuminate.
Non aspettiamo che scrivano
in prima pagina
sulla New York Times Book Review
immagini di successo malato di mente
sorridendo da una foto.
Ora che pubblichino la tua foto su Life
sarai comunque diventato un niente una stampa lucida.
Saranno venuti e ti avranno fatto famoso
e tu continuerai a non essere libero.
Arrivederci me ne vado.
Vendo tutto
e regalo il resto
a Imprese di Beneficenza.
Farà scuro fuori
con la fanfara dell'Esercito della Salvezza.
E la mente che illumina sé stessa.
Arrivederci esco di scena.
Chiudete il teatro.
Il sistema è pieno di pidocchi.
Roma non è mai stata così.
Ne ho abbastanza di aspettare Godot.
Vado dove vincono le tartarughe
Vado
dove gli imbroglioni vomitano e muoiono
nelle tristi piazze
del mondo ufficiale.
Si vende spazzatura!
Il mio paese piange per te.
Allora andiamo tu e io
lasciandoci dietro le cravatte appese a lampioni
facciamoci crescere la barba
dell'anarchia in cammino
assomigliamo a Walt Whitman
con in tasca una bomba fatta in casa.
Voglio scendere nella scala sociale.
L'alta società è la bassa società.
Sono un arrampicatore sociale
che si arrampica verso il basso
E la discesa è difficile.
L'Ideale della Classe Medio-Superiore
è per gli uccelli
ma gli uccelli non sanno cosa farsene
avendo il loro ordine di becchettìo
basato su canzoni da uccelli.
Piccioni sull'erba ahimé.
Alziamoci e andiamocene ora
verso l'isola dell'Uomoèlibero.
Liberiamo i maiali della pace.
Per favore sbrighiamoci è ora.
Alziamoci e andiamocene ora
all'interno
della Caffetteria Foster's.
Bye bye Emily Post.
Ciao
Lowell Thomas.
Ciao Broadway.
Ciao Herald Square.
Spegni.
Scompiglia il sistema.
Cancella gli affitti.
Perdi la Guerra
senza ammazzare nessuno.
Lascia che i cavalli gridino
e le dame corrano
verso stanze della cipria senza sbocco.
La fine è appena incominciata.
Voglio annunciarlo.
Corri non camminare
verso l'uscita più vicina.
Il vero terremoto sta arrivando.
Sento che il palazzo trema.
Sono un tipo raffinato.
Non lo sopporto.
Vado dove i culi si sdraiano
con i collezionisti di dazi che chiamano sé stessi
critici letterari.
Il mio arnese è impolverato.
Il mio corpo è appeso da troppo tempo
in strane bretelle.
Portatemi una bandana luminosa
da usare come sospensorio.
Liberati e ce ne andremo
dove le macchine sportive crollano
e il mondo ricomincia.
Per favore sbrighiamoci è ora.
È ora e mezza
e c'è il prurito.
L'imbottitura del pensiero ci trasforma tutti in ragazzi di casa.
Diamoci un taglio
verso la sperduta eternità.
Da qualche parte i prati sono pieni di allodole.
Da qualche parte la terra si muove.
Il mio paese è di te
che canto.
Alziamoci e andiamocene ora
verso l'isola dell'Uomoèlibero.
e viviamo la vera e semplice vita blu
fatta di saggezza e meraviglia
dove tutto cresce
in ordine
storto e cantando
nel sole giallo
papaveri usciti da carri da bestiame
angeli pensanti usciti da stronzi.
Devo alzarmi e andarmene ora
verso l'isola dell'Uomoèlibero
lontano oltre le parole rotte
e i boschi dell'Arcadia.


Junkman's obbligato
 
Let’s go
Come on
Let’s go
Empty our pockets
And disappear.
Missing all our appointments
And turning up unshaven
Years later
Old cigarette papers
stuck to our pants
leaves in our hair.
Let us not
worry about the payments
anymore.
Let them come
and take it away
whatever it was
we were paying for.
And us with it.
Let us arise and go now
to where dogs do it
Over the Hill
where they keep the earthquakes
behind the city dumps
lost among gasmains and garbage.
Let us see the City Dumps
for what they are.
My country tears of thee.
Let us disappear
in automobile graveyards
and reappear years later
picking rags and newspapers
drying our drawers
on garbage fires
patches on our ass.
Do not bother
to say goodbye
to anyone.
Your missus will not miss us.
Let’s go
smelling of sterno
where the benches are filled
with discarded Bowling Green statues
in the interior dark night
of the flower bowery
our eyes watery
with the contemplation
of empty bottles of muscatel.
Let us recite from broken bibles
on streetcorners
Follow dogs on docks
Speak wild songs
Throw stones
Say anything
Blink at the sun and scratch
and stumble into silence
Diddle in doorways
Know whores thirdhand
after everyone else is finished
Stagger befuddled into East River sunsets
Sleep in phone booths
Puke in pawnshops
wailing for a winter overcoat.
Let us arise and go now
under the city
where ashcans roll
and reappear in putrid clothes
as the uncrowned underground kings
of subway men’s rooms.
Let us feed the pigeons
at the City Hall
urging them to do their duty
in the Mayor’s office.
Hurry up please it’s time.
The end is coming.
Flash floods
Disasters in the sun
Dogs unleashed
Sister in the street
her brassiere backwards.
Let us arise and go now
into the interior dark night
of the soul’s still bowery
and find ourselves anew
where subways stall and wait
under the River.
Cross over
into full puzzlement.
South Ferry will not run forever.
They are cutting out the Bay ferries
but it is still not too late
to get lost in Oakland.
Washington has not yet toppled
from his horse.
There is still time to goose him
and go
leaving our income tax form behind
and our waterproof wristwatch with it
staggering blind after alleycats
under Brooklyn’s Bridge
blown statues in baggy pants
our tincan cries and garbage voices
trailing.
Junk for sale!
Let’s cut it out let’s go
into the real interior of the country
where hockshops reign
mere unblind anarchy upon us.
The end is here
but golf goes on at Burning Tree.
It’s raining it’s pouring
The Ole Man is snoring.
Another flood is coming
though not the kind you think.
There is still time to sink
and think.
I wish to descend in society.
I wish to make like free.
Swing low sweet chariot.
Let us not wait for the cadillacs
to carry us triumphant
into the interior
waving at the natives
like roman senators in the provinces
wearing poet’s laurels
on lighted brows.
Let us not wait for the write-up
on page one
of the New York Times Book review
images of insane success
smiling from the photo.
By the time they print your picture
in Life Magazine
you will have become a negative anyway
a print with a glossy finish.
They will have come and gotten you
to be famous
and you still will not be free.
Goodbye I’m going.
I’m selling everything
and giving away the rest
to the Good Will Industries.
It will be dark out there
with the Salvation Army Band.
And the mind its own illumination.
Goodbye I’m walking out on the whole scene.
Close down the joint.
The system is all loused up.
Rome was never like this.
I’m tired of waiting for Godot.
I am going where turtles win
I am going
where conmen puke and die
Down the sad esplanades
of the official world.
Junk for sale!
My country tears of thee.
Let us go then you and I
leaving our neckties behind on lampposts
Take up the full beard
of walking anarchy
looking like Walt Whitman
a homemade bomb in the pocket.
I wish to descend in the social scale.
High society is low society.
I am a social climber
climbing downward
And the descent is difficult.
The Upper Middle Class Ideal
is for the birds
but the birds have no use for it
having their own kind of pecking order
based upon birdsong.
Pigeons on the grass alas.
Let us arise and go now
to the Isle of Manisfree.
Let loose the hogs of peace.
Hurry up please it’s time.
Let us arise and go now
into the interior
of Foster’s Cafeteria.
So long Emily Post.
So long
Lowell Thomas.
Goodbye Broadway.
Goodbye Herald Square.
Turn it off.
Confound the system.
Cancel our leases.
Lose the War
without killing anybody.
Let horses scream
and ladies run
to flushless powderrooms.
The end has just begun.
I want to announce it.
Run don’t walk
to the nearest exit.
The real earthquake is coming.
I can feel the building shake.
I am the refined type.
I cannot stand it.
I am going
where asses lie down
with customs collectors who call themselves
literary critics.
My tool is dusty.
My body is hung up too long
in strange suspenders.
Get me a bright bandana
for a jockstrap.
Turn loose and we’ll be off
where sports cars collapse
and the world begins again.
Hurry up please it’s time.
It’s time and a half
and there’s the rub.
The thinkpad makes homeboys of us all.
Let us cut out
into stray eternity.
Somewhere the fields are full of larks.
Somewhere the land is swinging.
My country ‘tis of thee
I’m singing.
Let us arise and go now
to the Isle of Manisfree
and live the true blue simple life
of wisdom and wonderment
where all things grow
straight up
aslant and singing
in the yellow sun
poppies out of cowpods
thinking angels out of turds.
I must arise and go now
to the Isle of Manisfree
way up behind the broken words
and woods of Arcady.