martedì 15 luglio 2014

Due donne




Guarda questo volto. Bello, vero? Sensuale, ma pulito, quasi innocente. 
Chi è? Una cantante? Un'attrice? Una modella? O magari un medico di Medici Senza Frontiere? Un'insegnante? Una ricercatrice? Una poetessa? 
Si chiama Ayelet. Bel nome. Nella sua lingua significa gazzella. E della gazzella lei pare avere l'eleganza et la dignità. 
Il suo cognome, Shaked, significa mandorla. Antico simbolo di verginità, spesso usato per la Madonna. 
Guarda quest'altra foto.



Vedi come sembra fragile, indifesa e infinitamente dolce? Sarebbe bello averla come amica. Occhi così non possono mentire. E poi quella fronte alta, quelle labbra così perfette.
Chi è?
Non è un'attrice, né una poetessa, né un medico. È una deputata.
Qualche giorno fa sulla sua pagina Facebook ha scritto qualcosa, nella sua lingua. Io quella lingua non la parlo, ma una corrispondente dell'Evening Standard, Mira Bar Hillel,ha tradotto le sue parole in inglese e le ha pubblicate. E io te le traduco in italiano:
"Dietro ogni terrorista ci sono dozzine di uomini e donne senza i quali lui non potrebbe fare azioni terroristiche. Sono tutti nemici combattenti e il loro sangue deve colare sulle loro teste. Questo include anche le madri dei martiri che li mandano all'inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, nulla sarebbe più giusto. Dovrebbero sparire e così pure le case nelle quali hanno allevato i loro serpenti. Altrimenti altri serpenti cvi saranno cresciuti".
Una settimana prima, Ayelet aveva scritto anche:
"Questa non è una guerra contro il terrore, né una guerra contro degli estremisti e nemmeno una guerra contro l'Autorità Palestinese. La realtà è che questa è una guerra tra due popoli. Chi è il nemico? Il popolo palestinese. Perché? Chiedeteglielo, hanno incominciato loro".
Ayelet è membro del partito La Casa Ebraica, alleato del Likud di Beniamin Netaniahu. La Casa Ebraica è un partito sionista, profondamente sionista, che incarna l'idea che Dio ha dato agli Ebrei la terra d'Israele e che il dovere degli Israeliani è di farvi regnare la legge ebraica.
Mira Bar Hillel, nel suo articolo, chiama Ayelet 'Angelo della Morte' e dice che è a causa sua che lei è al limite di bruciare il suo passaporto israeliano.
Mira scrive di Ayelet:
"Mi ha fatto pensare alla sorella di mia madre, Klara, e ai suoi tre bambini, che vivevano a Cracovia nel 1939 quando arrivarono i tedeschi. Loro (i tedeschi) decisero che gli ebrei — tutti gli ebrei — dovevano essere eliminati, comprese le madri e i piccoli serpenti che allevavano. 'Perché? Chiedeteglielo, hanno incominciato loro', avrebbero risposto i nazisti se qualcuno gliel'avesse chiesto".
E Mira continua:
"So cosa vuol dire essere stati vittime indifese, vivere e morire sotto gli stivali di oppressori razzisti e so che gli israeliani di oggi non sono più le vittime ma gli artefici della crisi attuale. Sì, quelli di Hamas sono degli orribili assassini pieni di odio che avrebbero distrutto Israele se ne avessero avuta la possibilità. Ma resta il fatto che è Israele che ha i carri armati, i bombardieri, l'artiglieria, le testate nucleari e difese missilistiche degne di Golia, mentre gli abitanti di Gaza non avevano nulla una settimana fa e hanno ancora meno oggi, quando anche ospedali e scuole sono bombardate. Shaked ha ottenuto ciò che voleva: il conto dei morti a Gaza si avvicina ai 100 [la radio francese questa mattina parlava di 188 morti e 1200 feriti, n.d.r.] e uno ogni quattro è un bambino".
Non credo di poter aggiungere altro. O forse sì, un'ultima foto, quella di Mira. Io la trovo molto più bella di Ayelet. Molto più bella.


venerdì 11 luglio 2014

S.O.S. zucchero filato


Senza nessuna ragione logica mi è tornato in mente lo zucchero filato di Bellaria. E mi spiego.
Tra i 9 e i 17 anni ho passato tutte le mie vacanze, con genitori e sorelle, a Bellaria, che a quei tempi era un posto molto popolare (nel senso che ci andava il popolo, perché costava poco). Il primo anno non c'era nemmeno la spiaggia, solo delle palafitte di legno sul mare. Poi hanno messo una sfilza di scogliere artificiali e la spiaggia si è formata poco a poco, avanzando ogni anno.
La sera, dopo cena, si andava a spasso in famiglia, finendo inevitabilmente in piazza. Non tanto la piazza dove c'era la gelateria Nuovo Fiore, con tanto di caffè concerto pomeridiano e relativa possibilità per chiunque di cantare facendosi accompagnare dall'Anonima Sound di Ivan Graziani (cosa che ho spesso fatto) e caffè concerto serale dove si esibiva il quindicenne Gianni Morandi, non quella, l'altra, dove c'era la bancarella dello zucchero filato.
Senonché qui comincia il problema. Leggendo 'zucchero filato', immagino ti venga immediatamente in mente quel batuffolo di fili di zucchero appesi a mò di nuvoletta attorno a un bastoncino di legno, che per me è sempre stata una schifezza. Ma il fatto è che lo zucchero filato di Bellaria era tutt'altra cosa, che vado a spiegarti.
L'omino della bancarella aveva un pentolone nel quale scaldava, mescolandolo con cura, un intruglio che diventava sempre più spesso, fino ad assumere la consistenza di una specie di pasta molto densa e pesante. Giunto a quel punto, l'omino la estraeva, l'attaccava a un grosso gancio che gli stava davanti, all'altezza dei gomiti, e incominciava a tirarla, poi a riattaccarla, poi a tirarla di nuovo. Quel procedimento raffreddava l'impasto, mantenendolo però perfettamente omogeneo. Ad un certo punto, quando erano state raggiunte la consistenza e la temperatura volute, l'omino inseriva il tutto nella parte superiore di una macchina, una specie di pressa con un buco nella parte inferiore, e da quel buco faceva uscire un filamento a forma di churro, che tagliava con grosse forbici in segmenti di una ventina di centimetri. Ne faceva di rosa, alla fragola, di verdi, alla menta, di bianchi, alla vaniglia, di marroncini, al caffè. Il bello era comprare il pezzo di zucchero filato quando era appena stato fatto, perché questo garantiva, almeno per i primi morsi, una consistenza particolarmente goduriosa, croccante e fredda all'esterno, ma ancora molle e calda all'interno.
Su internet ho trovato dei 'bastoncini di zucchero', che però mi sembrano un'altra cosa. Poi ho cercato la parola francese guimauve, utilizzata soprattutto come traduzione dell'inglese marshmallow (altra schifezza), ma che mi pareva volesse dire anche qualcosa d'altro, forse in Belgio, e ho finito col trovare questa foto:

Per carità, siamo ancora lontani dallo zucchero filato di Bellaria: i colori sono troppo vivi, troppo finti. Però ci avviciniamo. Almeno c'è il gancio...
Io per quello zucchero filato ci andavo matto e ammetto che anche a 15, 16 anni, quando la preoccupazione principale delle mie serate estive era di andare a ballare allo Sporting Club, allo Chez Vous o alla Fattoria con la ragazza giusta, non ce la facevo proprio a passare davanti alla bancarella senza spendere le 50 lire che mi permettevano di godere di quella inimitabile leccornia.
Ora, so benissimo che le probabilità di poter riassaggiare qualcosa di simile sono inferiori a quelle di sentire una frase intelligente da Daniela Santanchè, ma chissà mai che un improbabile lettore abbia più informazioni a proposito, se non addirittura — spes ultima dea — una ricetta. Sarebbe una bellissima cosa.