domenica 23 febbraio 2014

Caro Mattia

Val di Susa


Caro Mattia,

non ti conosco. Ma conosco tuo padre. Lui ha qualche anno più di me, non mi ricordo mai quanti. Io ne avevo quattordici o quindici quando ci siamo conosciuti, a Bellaria. È lui che mi ha fatto ascoltare per la prima volta Bob Dylan. L'LP era Freewheelin', quello con Blowin' in the Wind e Masters of War. Era rimasto al sole, sul lunotto posteriore della '600 di tuo nonno e aveva assunto una forma tutta ondulata. La voce di Dylan, che già di suo sembrava un mucchietto di sassi che scivolavano dentro un tubo inclinato di PVC, pareva venire dall'interno di una lavatrice sul programma cotone delicato, 40°. Una meraviglia. Momenti indimenticabili.
Forse uno o due anni dopo, tuo padre dormiva in una stanza separata dalla casa, non ricordo più bene dove. Io ero mattiniero, lui no. Andavo a svegliarlo, lui apriva un occhio, mi guardava, dubbioso, e invariabilmente diceva "Tanto, un giorno vale l'altro". Poi si alzava. Ammiravo molto il suo esistenzialismo dandy.
Eravamo pacifisti, molto pacifisti. Io avevo una chitarra Eko da due lire sulla quale avevo scritto No more war. All'epoca non sapevo ancora che Woody Guthrie, sulla sua, ci aveva scritto This machine kills fascists. Una sera eravamo in spiaggia, Paolo e io, a cantare, da soli, seduti per terra, con la schiena contro le cabine. Si sono avvicinati quattro ragazzotti, cominciando a provocarci. Come sai, tuo padre credo che viaggi al di sotto del metro e settanta, mentre io, una quindicina di centimetri di più, all'epoca i 60 chili li vedevo da lontano. Ero sicuro che ci avrebbero dato una manica di botte. Allora abbiamo continuato a cantare We shall overcome, facendo finta di niente. Dopo un po' quelli se ne sono andati, lasciandoci in pace. Una grande vittoria per la non-violenza mondiale.
Ti racconto queste cose perché non so bene cosa dirti d'altro, non ti conosco. Ma so che sei in galera, accusato di terrorismo. Pare che in Val di Susa tu abbia fatto una brutta cosa. Sì, lo so, non hai dirottato un Airbus 380 con l'intenzione di schiantare 500 passeggeri sul Duomo di Torino nella segreta quanto inaccettabile speranza di dare fuoco alla Sacra Sindone, però hai danneggiato un compressore.
A dirti la verità, non so nemmeno bene cosa sia un compressore. Io mi intendo di teatro di marionette e magari anche un po' di patafisica, ma molto poco di compressori. Però dubito che qualcun altro, a parte te e i tuoi amici, sia mai stato accusato di terrorismo per averne danneggiato uno, almeno in uno dei pochi Paesi democratici del mondo. Mi viene quasi da ridere, o almeno da sorridere, ma capisco che la cosa possa non suscitare in te lo stesso effetto, dal fondo della tua cella nel carcere di Alessandria.
Questa cosa del TAV, io l'ho seguita molto poco. Non so nemmeno se si dice il TAV, in quanto acronimo di Treno ad Alta Velocità, oppure la TAV, in quanto TAV Spa. Sono tornato in Italia pochi anni fa, dopo aver passato quasi tutta la mia vita adulta fuori, e ci sono cose sulle quali ho recuperato il ritardo e altre no. Siccome non mi piace parlare di ciò che non conosco e siccome, non essendo né un politico, né un conduttore di talk-show, non mi sento in obbligo di avere un'opinione su tutto, ammetto che del TAV non sono molto. Ho solo una vaga impressione di qualcosa che è andato marcendo poco a poco, di posizioni che si sono irrigidite e di dialogo impossibile.
Ma non è questo il punto.
Che tu e i tuoi amici abbiate ragione o torto, che la vostra azione contro il compressore fosse o no la cosa giusta da fare (ho il forte sospetto che non lo fosse), resta quella marca d'infamia assoluta, quell'accusa di terrorismo. E le parole contano, sempre.
Nella mia vita mi sono trovato a lavorare in molti Paesi del mondo. Paesi dell'ex-blocco sovietico, Paesi tra i più miseri dell'Africa, Paesi dittatoriali come la Birmania, la Guinea e la Bielorussia. Ho perfino passato qualche mese a Sarajevo, durante l'assedio, a giocare al coniglio con i cecchini serbi. In tutte quelle occasioni la cosa più strabiliante è sempre stata scoprire quanto fosse facile vivere in quelle condizioni. Non era facile mangiare, dormire, vivere la vita quotidiana, naturalmente. Ma era facilissimo essere uomini. Avere una dignità. Avere una speranza. Avere voglia di partecipare a qualcosa di positivo. Erano situazioni nelle quali era così ovvio chi stesse dalla parte giusta e chi dalla sbagliata che vivere era facile. E ogni volta che tornavo indietro, in Europa, da un lato mi dicevo quanto fosse più difficile vivere qui, nel grigiore dei mezzi toni e dei dubbi, ma dall'altro non potevo fare a meno di pensare che nascendo qui avevo vinto il biglietto della lotteria, nascendo in questo grigiore nel quale ci arrovelliamo tanto spesso il cervello per capire da che parte stare e poi siamo tanto spesso delusi da noi stessi, dalle decisioni che abbiamo preso e dalle scelte che abbiamo fatto. Vivere in questo posto dove comunque non rischiamo di servire da conigli a un cecchino e se danneggiamo un compressore paghiamo per ciò che abbiamo fatto senza bisogno di pagare anche per la distruzione della biblioteca di Alessandria e l'invasione degli Unni.
Sono certo che per te in questo momento è diverso. Non so quale sia la soluzione che hai trovato per non lasciarti divorare dall'insopportabile umiliazione e dalla solitudine. Immagino che ti sarai ripetuto mille volte che sei stato un idiota ad andare o a non andare in un certo posto un certo giorno, a fare o a non fare una certa cosa, a dirne o a non dirne un'altra. Ti immagino anche indurito, perché devi stringere i denti e perché quel che ti manca è la dolcezza, lì dentro, comunque, sempre.
Ma sono solo cose che immagina uno che se ne sta seduto in tinello davanti al suo computer e che tra poco deve andare a Firenze a vedere uno spettacolo.
Mattia, non so cosa succederà, né come tu ne verrai fuori. Tuo padre mi ha detto che hai 29 anni, non sei un ragazzino, anche se sei più giovane dei miei figli. Ti auguro di riuscire a uscirne bene. Te lo auguro di tutto cuore. Ti auguro di non venirne fuori disgustato e rotto, ma intero e pieno di quella generosità che credo ti abbia spinto all'inizio a sostenere questa causa.
Non credo che viviamo in un Paese dove tutto è merda, anche se ce in giro ce n'è tanta. Non credo che non abbiamo un futuro. Non lo credo anche perché siamo in tanti, ognuno a modo suo, a rifiutarci di crederlo e a continuare a partecipare e ad agire.
La cosa di cui ti accusano, quella parola, terrorismo, è una delle più infamanti che si possano immaginare. E forse la lotta vera, oggi, in questa Italia, è proprio quella delle parole, che spariamo a vanvera, gli uni e gli altri, senza ritegno, accusandoci mutualmente di tutti i mali e di tutti gli orrori, capaci solo di gridare e non più di ascoltare. Oh, stai tranquillo, lo so bene che se per tutti è difficile ascoltare, per molti è semplicemente impossibile, sempre. Non sto dicendo che è tutto uno schifo, ma esattamente il contrario.
Forse ciò che sto dicendo è che tutti noi che siamo qui fuori, anche se magari non proviamo una spontanea e immediata simpatia verso chi va a distruggere un cacchio di compressore, qualunque cosa sia, dobbiamo sentirci fieri dell'impegno che lo ha portato, con altri ragazzi, giovani e meno giovani, a difendere una valle e i suoi abitanti, a difendere promesse ricevute e poi mai mantenute, ad opporsi a un potere e a una burocrazia troppo spesso così cinici, ciechi e inumani.
Così, anche se non me la sento di escludere che tu i tuoi amici abbiate fatto una cazzata (ma non ne so abbastanza per farmene un'idea), anche se magari quella cazzata fosse degna di una punizione, compresa una pena carceraria, voglio dirti che la mostruosità e la dismisura della parola usata per accusarti sono tali da non lasciare alcun dubbio su come pensarla adesso. Per questo voglio esprimerti tutta la mia solidarietà e, se accetti l'abbraccio di uno sconosciuto, ti offro volentieri pure quello.
Non diamogliela vinta, Mattia. Non abbassiamoci ad accettare le loro regole di combattimento.
Noi, qui fuori, oggi, abbiamo bisogno di te almeno quanto tu hai bisogno di noi. Lo so che rischio di metterti ancora più pressione addosso, ma è così: è importante che tu esca di lì il prima possibile, visto che tutto il tempo che ci hai già passato mi pare abbastanza non per uno, ma per una buona dozzina di compressori; ma è ancora più importante che tu ne esca bene, con dignità, non come uno che ha vinto o che ha perso qualcosa, ma come... non so bene nemmeno io come. Questo sarai tu a doverlo capire e trovare. Quello che ti auguro è di trovare presto il modo, una volta fuori, di non restare quello-che-è-stato-in-galera-per-la-TAV. Quella sì che sarà una battaglia da vincere. Auguri.
Ti saluto.
Massimo

Per chi non l'avesse già letta sulla mia pagina Facebook, ecco anche la lettera che mi aveva mandato il mio amico Paolo, chiedendomi di diffonderla:


In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?

Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. 
E non è una libertà da dare per scontata. 
Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.

Questa lettera si rivolge: 
Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trovino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto.  
Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista. 

Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.
Grazie
I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

venerdì 21 febbraio 2014

And now a few moments of sex



I francesi sono gente strana. La radio nazionale, stamattina verso le 7 e mezzo, mi annuncia una serie di reportage sulla Polonia e me ne dà un primo, piccolo assaggio di un paio di minuti. La giornalista spiega che, nonostante il miracolo economico che ha permesso al Paese di prosperare anche durante la crisi finanziaria, il conservatorismo e il peso della chiesa cattolica costituiscono un freno possente allo sviluppo della libertà e dei diritti, in particolare a quelli delle donne.
E partono i due minuti, registrati a Varsavia. Dove? Per strada? No. In un caffè? Nemmeno. Nel salotto di un sociologo o nell'ufficio di un politico? Per nulla. Quando si tratta di libertà e di diritti delle donne, la giornalista francese (poiché di una donna si trattava) va a intervistare (indovina, indovinello) la proprietaria di un sex-shop! C'est ça, la liberté!
Ho vissuto più di tre decenni oltr'alpe e posso testimoniare dell'ossessione dei nostri vicini per il sesso, ovvero della loro ossessione a parlarne. Radio, televisione, programmi di divertimento, reportage, talk-show, trasmissioni di approfondimento, stampa cartacea a tutto tondo, dai rotocalchi femminili alle riviste politiche, finiscono prima o poi col parlare di sesso in maniera davvero imbarazzante.
Non che sia imbarazzante parlare di sesso, ovviamente, anche se personalmente trovo che un minimo di pudore in questo campo non guasti mai, in pubblico. Ciò che c'è d'imbarazzante in Francia è una specie di consenso attorno al fatto che più il sesso è acrobatico, fuori dalle righe, trasgressivo e accessoriato, più è bello e più rende liberi. Ora, non vorrei fare la parte del bacchettone ottocentesco, ma siamo proprio sicuri che il livello ginnico e la complessità dell'attrezzatura di sostegno al sesso costituiscano dei validi punti di riferimento per parlare di libertà?
La cosa mi dà particolarmente fastidio quando si offre questa falsa idea di libertà alle donne e me ne dà ancora di più quando sono delle donne a farlo. Senza entrare in inutili dettagli, posso dire che nella mia vita un po' di donne, biblicamente parlando, le ho conosciute. Magari sarò io che ho sempre cercato e/o attirato quelle sbagliate, però non ne ho incontrata una sola che mi abbia proposto per prima l'utilizzo di un qualche sex-toy, o che mi abbia imposto acrobazie da visita osteopatica obbligatoria l'indomani. Il che non mi ha impedito, con alcune più che con altre, di sbizzarrirmi un po'. O meglio, rifrasiamo: il che non ha impedito che, con alcune più che con altre, ci sbizzarrissimo un po', il che è già diverso.
Fino agli anni '60, di sesso non si parlava. Poi siamo arrivati noi, quei sessantenni di oggi ai quali anche i miei giovani lettori tendono a dare tutte le colpe, e le cose hanno incominciato a cambiare. È sempre bene ricordare che il Maggio '68 ha avuto inizio dalla rivendicazione degli studenti della residenza universitaria maschile dell'università di Nanterre di poter accedere alla residenza femminile. "Juissons sans entraves" (godiamo senza ostacoli) è stato uno dei primi slogan, di origine situazionista. Me ne ricordo anche un altro: "Je fais l'amour seulement avec ceux que j'aime. J'aime tout le monde" (faccio l'amore solo con chi amo. Amo tutti).
E va bene. In quel contesto e a quei tempi, questi slogan erano dirompenti e costituivano davvero qualcosa di rivoluzionario dentro a una società repressiva che non si distingueva solo per dei meccanismi di potere politico, poliziesco ed economico, ma anche per un estremo conservatorismo in tutta la sfera del privato, di cui le principali vittime erano le donne. Kate Millet, Simone de Beauvoir, Nancy Friedman, Erica Jong, furono scrittrici importanti, lette anche da molti di noi uomini, spinti poi dalla curiosità a scoprirne altre, dalla Achmatova alle sorelle Brönte, dalla Austen alla Dickinson, dalla Woolf alla Stein.
Ma quando oggi, cinquant'anni più tardi, vedo il livello di bieco disprezzo della donna portato avanti senza ritegno dalla pubblicità e dal cinema, dalla televisione e dai media in generale; quando continuo, al caffè o su Facebook, a sentire e leggere battute ammiccanti che perpetuano lo stesso misero maschilismo di sempre; quando continuo, ancora e ancora a sentire "beh, una che va in giro vestita così però se lo cerca", anche se quella di cui si parla è vestita da povera stronzetta, ha le labbra botulinate e il sedere tirato su che quasi le tocca le spalle; quando, soprattutto, tutti quegli artifici di pretesa femminilità mi vengono presentati come un esempio di libertà e di affermazione di diritti, mi cadono le braccia e, mi sia permesso di dirlo, mi cadono pure i gioielli di famiglia, compresa l'appendice principale, che a tutto pensa, meno che a mettersi sull'attenti.
L'Italia berlusconiana ha sviluppato il (pessimo) gusto della velina che sculetta con un sorriso finto come una moneta da tre euro, contrabbandandola per un'immagine di disinibizione e di successo. La Francia questo ha saputo evitarlo, almeno in parte.
Ma la stessa Francia, ah, la grandeur!, ha affidato agli intellettuali, attraverso la rilettura del Divino Marchese, come là amano chiamare Sade, e di vari suoi ammiratori ed emuli contemporanei, nonché attraverso infinite quanto fumose esegesi del cinema porno, dei sex-shop e della sessualità "libera" intesa come indispensabile passo verso la libertà di pensiero e di vita, il compito di servire da altoparlante pubblicitario a un mercato che continua a svilupparsi in barba al più elementare rispetto della donna. Il che non smette mai di sorprendermi e di farmi andare in bestia.
Fondamentalmente non me ne importa nulla di sapere chi fa cosa, con chi, a quale ritmo e con quali accessori, sotto le lenzuola. L'idea di sbandierare quello che ci faccio io poi, non parliamone nemmeno. Fare sesso è bello e con l'età e l'esperienza diventa ancora più bello. Fare sesso può essere ancora più bello di un bel libro, di una musica sublime, o, osiamo pure il tutto per tutto, di una finale olimpionica di curling femminile in televisione. Fare sesso può essere bello anche se non è accompagnato dall'amore. Fare sesso può essere doloroso e complicato se si ha l'impressione di non poterci trovare tutta la gioia che altri sembrano trovarci. Ma fare sesso perché "bisogna farlo" per sentirsi liberi e cercare di farlo come qualche intellettuale, rotocalco o filmetto porno ti spiega che va fatto, magari sentendosi inibiti e retrogradi se non si tirano fuori lacci, manette, pilloline, vibromassaggiatori e altri marchingegni vestimentari o tecnologici, mi sembra cosa di una tristezza infinita. Fare sesso senza ridere è di una tristezza infinita, così come lo è farlo come se fosse un passaggio obbligato verso la libertà. Si può fare molto sesso e restare stupidi come capre e infelici come animali in gabbia. E ci si può sforzare quanto si vuole di autoconvincersi che il numero di sveltine accumulate in una vita è direttamente proporzionale al livello del nostro più intimo benessere, ma non è vero. Se c'è una battaglia politica da portare avanti oggi è quella della distinzione tra libertà e caricatura della libertà. E questo vale anche per il sesso.

P.S. Scommettiamo che con il titolo e l'immagine che ho dato a questo post arriverò ad avere ancora più lettori di quello che avevo intitolato Normalità della patonza e che riscosse grande successo?

mercoledì 19 febbraio 2014

Un armadietto da infermiere

Damien Hirst - No love lost

Titolo sulla Repubblica di ieri, pag. 43: "L'opera di Daniel Hirst scambiata per un kit medico."
L'opera in questione è intitolata No love lost ed è... un kit medico. Insomma, non proprio un kit, ma un armadietto contenente oggetti usati comunemente dagli infermieri.
"Si sono viste persone passare davanti a quel lavoro — esposto per la prima volta in Italia, prestato da un anonimo privato — e poi chiedere notizie: "Ci hanno detto che c'è un'opera di Hirst, ma non la troviamo." Pensa: c'è gente che è passata davanti a un armadietto da infermiere e non ha capito che era un'opera d'arte! Viviamo davvero in un mondo di abissale ignoranza.
Come dici? Quella non è un'opera d'arte, ma un semplice armadietto da infermiere e sono i mercanti e i critici che ci prendono per i fondelli? Mi sembra che tu stia esagerando.
Come? Magritte almeno sotto una pipa ci aveva scritto Ceci n'est pas une pipe e questo nel 1929, mentre Duchamp aveva esposto un orinatoio nel 1917 intitolandolo Fountain? Vabbé, ma cosa vuol dire? Magari Hirst non lo sapeva e ha creduto di fare qualcosa di nuovo. Dai, su, un po' di comprensione.
No, eh?
No.
Effettivamente...
Sì, effettivamente mi sa che ci stanno prendendo per i fondelli. È il trionfo della Pirl'Art e di "Su, sgancia un caccazilione di euro per comperarti un armadietto da infermiere e diventerai immediatamente un raffinato collezionista."
Ma te lo vedi uno che appende al muro del salotto buono un armadietto da infermiere? Arriva un amico, lo vede e chiede: "Stai poco bene?" "Sto benissimo. Perché?" "Beh, vedo che ti tieni sottomano il necessario per l'infermiere..." "Amico mio, questo non è un necessario per infermiere, bensì un'opera d'arte, eziandio costatami un caccazilione e mezzo di euro." (Ti avevo segnalato in un precedente post che avrei spesso usato la parola eziandio, che mi piace molto). "Un caccazilione e mezzo di euro? Ma allora quest'opera d'arte è davvero bellissima!" "Certo che lo è. Sennò non mi sarebbe costata un caccazilione e mezzo di euro."
Logica impeccabile. Almeno se si parla di euro, dollari, yen, renminbi, grana, palanche, pecunia, dindi, quattrini, conquibus, sghei, danneé, moneda o dinaru.
Ma se parliamo di opere d'arte?
O forse no, forse è meglio non parlarne. Quando mi viene voglia di parlarne mi torna sempre in mente un testo di Gertrude Stein, autrice che ho amato tanto da dare a mia figlia, come secondo nome, proprio Gertrude (cosa che non mi ha mai perdonato, ma lasciamo perdere).
Nel 1936 la Stein scrisse un piccolo saggio dal titolo What are masterpieces and why there are so few of them? (Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi?). Te ne traduco qualche riga mantenendo quel suo stile automatico e privo di punteggiatura.
"Volevo parlarti [dei capolavori] ma di fatto è impossibile parlare di capolavori e di che cosa sono perché parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il fatto di creare. Io parlo molto mi piace parlare e parlo perfino di più se posso dirla così parlo quasi sempre e ascolto anche un bel po' e come ho già detto l'essenza del fatto di essere un genio risiede nel saper parlare e ascoltare ascoltando mentre si parla e parlando mentre si ascolta ma e questo è molto importante davvero molto importante parlare non ha essenzialmente nulla a che fare con il fatto di creare. Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi. Potresti dirti che dopo tutto ce ne sono un certo numero ma questo è assolutamente proporzionale a tutte le cose fatte da chiunque faccia delle cose e ce ne sono davvero pochi."
Le opere di Hirst, di Koons, di Botero o di Cattelan (messaggio subliminale per Alessandro), non sono né saranno mai capolavori, anche se costano caccazilioni di euro, proprio perché sono solo frutti del parlare e non sono fruibili se non attraverso il filtro di un mare di parole di più o meno buona fede. La truffa di tutta una parte dell'arte contemporanea consiste nel cercare di farci credere che oggetti bi o tridimensionali concepiti e realizzati esclusivamente in vista di un loro valore di mercato siano opere d'arte a partire dal momento che ci "obbligano" a riflettere. A parte il fatto che non vedo bene cosa ci sia da riflettere davanti a un armadietto da infermiere, l'unica eventuale riflessione che mi viene proposta è di tipo tanto autoreferenziale quanto onanistico. I mangiatori di patate di van Gogh mi fa riflettere, come lo fanno la Madonna del parto di Piero della Francesca o la Pietà Rondanini di Michelangelo. Fanno riflettere me come hanno fatto riflettere generazioni prima di me e lo faranno con altre generazioni dopo di me. Ma la Pirl'Art è roba da pirla, anzi, peggio, da ignobili speculatori preoccupati dall'arte quanto un indio Tupinambà dell'Amazzonia lo è dell'IPhone 5S 64GB.
Quindi smetto di parlare, o scrivere, che è un po' lo stesso. Se ci sono degli idioti pronti a far funzionare la macchina dei soldi per simili vaccate, fatti loro. Io a quel gioco non voglio partecipare. È solo un peto che si perde nella brezza.

mercoledì 5 febbraio 2014

Letterina a un Onorevole

L'Onorevole Massimo Felice De Rosa


Caro (si fa per dire) Onorevole Massimo Felice De Rosa,
ho letto sul sito del Fatto Quotidiano le sue dichiarazioni circa la sua rinuncia all'immunità parlamentare di fronte alla querela sporta contro di lei da alcune deputate del Partito Democratico in seguito alle sue dichiarazioni sessiste.
Vede, Onorevole (anche qui si fa per dire), ci sono varie cosette nelle sue parole che mi fanno specie.
Incominciamo con le prime parole dell'articolo: "Non mi nasconderò dietro l’immunità parlamentare perché sono un cittadino e da cittadino mi difenderò dalle false accuse del Pd." Che lei fosse un cittadino non ne ho mai dubitato, anche perché non vedo come, qualora non lo fosse stato, avrebbe potuto essere eletto parlamentare. Ciò che indovino dietro quella sua dichiarazione è l'idea, portata avanti in varie occasioni da diversi membri del suo non-partito, del rifiuto del titolo di Onorevole, a vostro avviso infangato dal comportamento degli Onorevoli che vi hanno preceduto. Da qui quel "tutti a casa!" tanto spesso urlato in campagna elettorale dal proprietario del suo non-partito, Beppe Grillo.
Lo so, certe volte viene spontaneo prendere questo tipo di posizione. Se lei guarda ciò che c'è scritto sotto il titolo del mio blog troverà una citazione di Kurt Vonnegut: "Essere umani è imbarazzante". E infatti un giorno, stanco di rivendicare la mia appartenenza a una razza di guerrafondai fanatici e distruttori, ho deciso di rifiutare anch'io quel titolo. Non voglio più essere definito umano, mi sono detto; voglio che mi si chiami mammifero. Il problema però poi ce l'ho avuto quando ho visto alcuni documentari sul canale National Geographic. Ma come? Potevo davvero accettare di far parte di quel gruppo animale di violenti, spesso cannibali, dal comportamento fascista, incapaci di ragionare? Certo che no. Da lì ho deciso che il solo titolo che avrei accettato era quello di animale. Senonché l'estate scorsa mi sono sdraiato sotto un albero, in campagna per un pisolino e al mio risveglio mi sono ritrovato mezzo divorato da un esercito di formiche. E no! Basta! Voglio essere chiamato solo essere multicellulare. Già, ma poi ho letto un articolo sulle cellule cancerogene. E ho capito che non avevo via di scampo. Ho ricominciato ad accettare di essere chiamato uomo. Credo che sarebbe bello se lei, comportandosi con onore, aiutasse tutti noi, cittadini non Onorevoli, a ritrovare una dignità nella nostra appartenenza a una Repubblica nella quale gli eletti al Parlamento fossero consci che Onorevole non è di per sé una brutta parola.
Detto questo, la sua rinuncia all'immunità è una bella cosa. Niente di eroico, per carità, niente più di ciò che dovrebbe essere ordinaria amministrazione. E infatti sarebbe stato bello sentirle dire che quella rinuncia era normale e ovvia per un Onorevole.
E forse sarebbe stato ancora più bello se lei si fosse comportato onorevolmente, invece di 'lasciarsi scappare una parolaccia'. Cos'era quella parolaccia? Ricordiamolo: rivolto a delle Parlamentari appartenenti a un gruppo a lei sgradito, lei ha gridato: "Siete qui solo perché avete fatto dei pompini!"
Ohibò. Ma davvero questa è una parolaccia di quelle che possono scappare? Forse lei e io viviamo in universi paralleli, ma nel mio quel tipo di orrore non scappa. Non scappa proprio come non scappano riferimenti anti-semiti, anti-africani, anti- disabili, anti-sud o anti qualsiasi altra categoria di esseri umani. Se non scappano non è perché io vivo in un universo di Puffi e Teletubbies, ma perché, come essere umano e come cittadino, cerco sempre di evitare di scivolare nell'universo nel quale sembra vivere lei. Mi creda, non è poi così difficile.
Andando avanti con le sue dichiaraziono al Fatto, lei dice ancora: "Non ero abituato a questo ambiente: gli ho dato l’occasione per distogliere l’attenzione dalle cose serie." Mmmhhh, mi viene il dubbio che nel mondo dei Teletubbies ci viva lei. Ma scusi, lei si fa eleggere al Parlamento della Repubblica, dà, per sua ammissione, l'occasione ai suoi avversari politici per distogliere l'attenzione dalle cose serie e poi mi dice che non se l'aspettava perché non era abituato a quell'ambiente? Non mi pare necessario essere un genio per prevedere qualcosa di simile. Io non sono credente, ma non ho bisogno di essere abituato ad andare in chiesa per sapere che se vado a bestemmiare dentro a San Pietro rischio di esserne cacciato a pedate nel sedere.
Proseguiamo. Lei sostiene che vari membri del Partito Democratico hanno fatto nei suoi confronti false dichiarazioni e dice: "Le menzogne non posso accettarle: è una questione di dignità personale." Re-mmmhhh. Non trova che sia stato lei a tirare lo sciacquone sulla sua dignità personale trattando delle Parlamentari da pompinare, comportandosi in maniera non meno spregevole di molti altri che prima di lei hanno infangato il titolo di Onorevole? Io sì.
Sulla sua pagina Facebook lei condivide un testo della portavoce M5S al Senato, Manuela Serra, che è una lista di "non condivido" (leggibile qui sotto1).
Per carità, ci mancherebbe altro! Tutti noi esseri umani, mammiferi, animali, nonché esseri multicellulari non condiviadiamo un sacco di cose con i nostri simili. Ma cerchiamo, o almeno molti, moltissimi tra di noi cercano di usare quel chilo, chilo e mezzo di materia grigia che ci ritroviamo in testa per non fomentare quegli odi, quei fanatismi e quegli eccessi che, ce lo insegna la Storia, finiscono sempre col fare del male a troppi innocenti. Lei dice che "tra persone normali si chiede scusa e ci si ferma lì". Io dico che chiedere scusa non serve a niente se quello non è il primo passo verso un vero cambiamento. Questo cambiamento per ora in lei non lo vedo.
Lei appartiene a un non-partito nonché a un gruppo parlamentare che, su istigazione dei suoi due fondatori, Grilleggio e Casarillo, si comporta sempre più in una maniera che definirei berlusconiano-leghista.
Berlusconiana: dal pregiudicato di Arcore avete ereditato l'abilità a far parlare di voi. Non importa se in bene o in male, l'importante è che si parli di voi. Anzi, meglio se se ne parla in male, perché solo così potete parlare di complotto generalizzato nei vostri confronti. Berlusconiana anche nell'insulto sistematico dell'avversario, nella costante volontà di ridurlo a un coglione (si ricorda "chi non voterà per noi è un coglione"?), di disumanizzarlo negandogli sempre e comunque un pur minimo di dignità.
Leghista: con i vostri cartelli, le vostre magliette, i vostri assalti agli scranni del governo, i vostri bavagli sulla bocca, avete reso i gesti dell'ombrello di Bossi e Compagnia e i loro medi alzati a piccoli gesti amatoriali che impallidiscono davanti al vostro sistematico professionalismo. Con la pubblicazione quotidiana di commenti ai vostri blog, commenti tanto spesso intrisi di volgarità da bettola, di xenofobia, di qualunquismo e di inaccettabile violenza, commenti dai quali mai vi smarcate, fate salire ogni giorno le acque nere della fogna nella quale vi crogiolate.
Che alla base di molti, moltissimi voti da voi ricevuti, ci sia stato un autentico e rispettabilissimo sentimento di disgusto nei confronti di una classe politica largamente screditata dai suoi comportamenti inaccettabili, non c'è dubbio. Ma non c'è dubbio nemmeno nel fatto che i vostri comportamenti di oggi vadano nella direzione di un ulteriore discredito della funzione parlamentare, la cui onorabilità è l'indispensabile premessa di un funzionamento democratico.
"Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte!" recita il nostro inno nazionale. E voi a coorte vi stringete, eccome! Anzi, in quella coorte vi ci chiudete proprio dentro, tutti allineati come bravi soldatini agli ordini del Generale Grilleggio (o Casarillo, non so mai). E infatti appena uno di voi osa uscire dalla fila anche solo di un centimetro, ecco che il Generale lo sbatte fuori. Più che a quello italiano mi fate pensare all'inno francese, che auspica "che un sangue impuro imbeva i nostri solchi!" Già: vi comportate proprio come se chi non sta con voi avesse nelle vene un sangue impuro, un sangue da sfruttatore, da affarista, o magari da pompinara. E poi fate finta di stupirvi davanti alle reazioni dell'ebetino Renzi, o del Presidente del Consiglio trattato da "novello Quisling, ovvero il premier norvegese agli ordini dei nazisti durante l'ultima guerra mondiale", o del giornalista Fazio, "stuoino del pdmenoelle", o della giornalista Maria Novella Oppo, che ebbe l'onore di essere la prima "giornalista del giorno" sul blog del padrone del vostro partito.
Mi creda, nulla mi farebbe più piacere in questo momento che poter chiamare lei e i suoi colleghi Onorevoli. Nulla mi farebbe più piacere che vedervi realmente attivi in quella trasformazione del funzionamento istituzionale che credo indispensabile. O forse sì, una cosa mi farebbe più piacere: cominciare a vedervi comportare da persone adulte e degne, da Deputati capaci di comportamenti dei quali, come cittadino, potrei sentirmi orgoglioso, da uomini e donne consci di rappresentare una minoranza variegata e salutare, ancorché inquinata dalla presenza di molti, troppi assatanati che sembrano incapaci di andare al di là dell'insulto sistematico e degradante. E mi sarebbe anche piaciuto non sentire in parlamento, non sentirlo mai più quel "boia chi molla" che non so più quale soldatino della sua coorte ha vomitato senza ritegno, dimenticando tanti morti, tanti deportati, tanti torturati, tante vittime di queelo stesso boia chi molla!.
Temo, ahimé, che queste mie speranze rimangano tali, ma restando un incorregibile ottimista continuerò a battermi nella mia piccola quotidianità contro il vostro modo di agire.

Distinti saluti.
Massimo Schuster

1"Io non condivido nessun tipo di ingiuria. Non condivido il trasformare ogni atto in osceno e ogni azione in menzogna.
Non condivido che in Parlamento si sia votata a maggioranza la mozione "Ruby nipote di Mubarak".
Non condivido che il PdR e il primo ministro siano preoccupati per il Parlamento, cioè per quegli esseri che hanno approvato in vent'anni un centinaio di leggi oscene, incostituzionali, su misura per B. E i suoi reati, i suoi processi, le sue aziende e i suoi affari.
Non condivido che in Parlamento, si siano regalati 2, 3 miliardi di rimborsi-truffa ai partiti, tradendo il referendum che aboli' i finanziamenti pubblici.
Non condivido che venne approvata una mozione del m5s insieme a Sel, per sospendere l'acquisto dei caccia F-35, dopodiché il PdR riunì il Consiglio di Difesa e decretò che il Parlamento non doveva impicciarsi.
Non condivido che si decida di devastare la costituzione scassinando l'art.138.
Non condivido che il Parlamento, possa essere umilato e disintegrato con proposte di legge elettorale prima dal PdR, che convocò i gruppi di maggioranza per discuterne in segreto al Quirinale; poi da Renzi &B. Che hanno fabbricato l'Italicum, un omunculum.
Non condivido che non ci sia dignità e valore umano.
Che si parli di serietà e si svenda l'Italia e gli italiani alle banche regalando a 7,5 miliardi di euro senza che nessun cultore del rispetto alzi un dito, ma sappia solo schiaffeggiare e insultare una donna Loredana Lupo e offendere chi si batte per dare giustizia."
Manuela Serra - portavoce M5S al Senato

lunedì 3 febbraio 2014

Un patetico pirla

Claudio Messora

"Cara Laura, volevo tranquillizzarti. Anche se noi del blog di Grillo fossimo tutti potenziali stupratori, ...tu non corri nessun rischio!"
Questo scriveva ieri sera in un ispirato tweet Claudio Messora, responsabile della comunicazione del Movimento 5 Stelle al Senato. La Laura in questione non è ovviamente quella i cui capei d'oro erano a l'aura sparsi, così come Claudio Messora non è Francesco Petrarca. Per sincerarsene basta vedere quell'imperfetto del congiuntivo seguito da un presente dell'indicativo (fossimo / non corri) per constatare che Messora sta alla lingua italiana come Povia al teorema d'incompletezza di Gödel.
È di Laura Boldrini che qui si tratta, la Presidente della Camera dei Deputati, terza carica della Repubblica. Ma esaminiamo più da vicino il tweet.
Prima di tutto in quel "Cara Laura, volevo tranquillizzarti" ciò che salta all'occhio è che Messora e Boldrini si danno del tu. Magari la Presidente della Camera non lo sapeva, ma i due si danno del tu. A dire il vero, magari del tu lei non glielo darebbe, ma lui, il "cittadino" Messora, impavidamente non esita, forse ispirato da quel dare del tu che già altri "cittadini", ovvero i citoyens della Rivoluzione Francese, usavano sistematicamente nei confronti di quelli che poi mandavano alla ghigliottina. Quelli sì che erano tempi gloriosi! Quelli sì che seppero sbarazzarsi di tutta una casta, quella dei nobili, in maniera drastica!
Andiamo avanti: "Anche se noi del blog di Grillo fossimo tutti potenziali stupratori". È il "noi del blog di Grillo" che fa specie. Non "noi del Movimento 5 Stelle", no: "noi del blog di Grillo". Come dire: ciò che ci identifica, ciò in cui ci riconosciamo non è un'ideologia, un'aspirazione, un progetto, un'utopia, ma è un blog, sono le parole del Capo. Il blog non appare qui come un luogo di discussione o di scambio di opinioni, ma come il Libro per antonomasia, quella Bibbia nella quale i credenti si riconoscono come "popolo di Dio", proprio perché quella Bibbia è "parola di Dio". "Non avrai altro Dio all'infuori di me", dice Dio a Mosé sul Monte Sinai, e lo stesso fa Beppe Grillo, giuridicamente proprietario del "non-partito" M5S, dal quale ha l'autorità di espellere chiunque non sia d'accordo con lui. "Noi del blog di Grillo" è molto diverso da noi conservatori, noi progressisti, noi di sinistra o noi di destra, anche perché il blog è in perpetua evoluzione e "noi del blog" ne seguiamo e seguiremo sempre le direttive perché Lui non sbaglia mai. Ave Cæsar!
Comunque sia, "cara Laura, [...] tu non corri nessun rischio!" Perché? Beh, ciò che qui è sottinteso è evidente: sei una racchia, una che neanche uno stupratore la vorrebbe. Gli stupratori, è noto, vogliono solo le bonazze, quelle che sanno mettersi in valore, quelle che provocano, quelle che magari poi si lamentano, però se vengono stuprate è anche colpa loro, visto che provocano. Sai com'è, cara Laura, mica è colpa nostra se siamo uomini: quelle, lo stupro se lo vanno a cercare, è ovvio. Certo, noi non siamo stupratori, ma se lo fossimo... No, stai tranquilla.

Rileggo il tweet e mi viene una specie di reflusso gastroesofageo misto a una crisi di diarrea acuta. Mentre il corpo mi sembra volersi svuotare, l'animo mi rischia l'annegamento in un oceano di squallore. Le narici mi si contraggono davanti a tanto insopportabile fetore e i polmoni mi diventano di marmo nel rifiuto di respirare un'aria tanto inquinata. Vomito, defeco e soffoco in un solo spasmo. Già mi si presenta davanti l'ingresso del Grande Tunnel. Già il vecchio Caronte mi tende la mano per aiutarmi a salire in barca.
Ma poi succede una cosa strana. Mi metto a ridere. Rido fino a piangere dal ridere. Caronte si allontana, deluso. La minaccia gastrica sparisce, lo sfintere si calma, respiro di nuovo. Ragiono di nuovo.
Messora, sei solo un patetico pirla. Non cadrò nella tua trappola. Non mi abbasserò a lasciarmi scalfire dalle tue marce involuzioni mentali. Se sei tanto abbietto e spregevole, peggio per te.
Ma vai a giocare a biglie sull'autosrada!