mercoledì 26 giugno 2013

Variazioni sul tema


I testicoli, gli zebedei, i didimi, le campane di Pasqua, i campanacci, i santissimi, i Santissimi Pietro e Paolo, le prugne, le olive, le uova di struzzo, i coglioni, i gemelli, Romolo e Remo, i sottostanti, i due carabinieri, i due caporali, i corazzieri, i marroni, le gonadi, le otri, le borse della spesa, i pelosi, gli irsuti, le palle, le due cisterne, Achille e Patroclo, i gesuiti, le guardie del corpo, i guardiani del faro, Bibì e Bibò, le spugnette, i cioccolatini, gli spalaneve, i dragamine, quelli del piano di sotto, i due San Bernardo, i brutti ma buoni, i principini, le guardie del corpo, le bottiglie del latte, i gioielli di famiglia, i cabasisi, le gobbe del cammello.

Il pene, l'uccello, il pulcinella, il bigolo, lo scettro dell'imperatore, l'albero maestro, il bastone di San Giuseppe, la minchia, il campanile, il biscotto, il fallo, il membro, il gelato alla panna, la coda, il Gigetto, il pistolino, l'esploratore, l'asta, il sesso, il dispensafortune, la torre di Pisa, il cazzo, il manganello, l'arnese, il martello, la scopa, lo scopone, la mazza, la lima, la trivella, il clarinetto, lo spazzacamino, la verga, il paracarro, l'estintore, il marrano, il pisello, la banana, la melanzana, il mozzafiato, lo zuccherino, il cardinale, il chiavistello, il tulino, il picco, il ciufello, lo sventrapapere, il micciu, la vanga, la falce, la sequoia, il mortaretto, lo sputafuoco, l'artigliere, il dardo, la faccenda, il calvo, il ciclope, il sigaro, il pesce, il pacco, il finferlo, il pendolo, la spada, lo spiedo, lo stoppino, il grattapugia, lo stantuffo, il candelotto, il cavicchio, la pertica, il randello, l'archibugio, l'arpione, il timone, il batacchio, il piffero, il bischero, il cero, il pirla, la bestia, il canarino, il fringuello, l'anguilla, la biscia, il becco, lo zufolo, la proboscide, il melone, la pannocchia, la carota, il cetriolo, il maritozzo, la salsiccia, il salame, il babà, l'asso di bastoni, il capitone senza orecchie, il 29, il cupolone, il manubrio, il picio, il creapopoli, la fava, la bacchetta magica, il cannocchiale, la clava.

La vagina, la bernarda, la gnocca, la topa, la sorcia, la sgnacchera, la spacca, la valle oscura, la val clava, la val pelosa, il vergigno, la patata, la patacca, la caverna di Alì Babà, il grottino, il cassetto, lo scrigno, la brontolona, la figa, il boschetto, la fagiana,  la patafiocca, il pertuso, il pilu, la vaschetta dell'acqua santa, la zucca, la coniglia, l'ampolla, l'armadio, la villa, il ripostiglio, il salvadanio, la bagatella, la grattugia, la mona, la mussa, la noce, la chitarra, il piccione, la ciofeca, la farfalla, la potta, la vitella, la zampogna, la feritoia, il buco nero, la rosina, la scarsella, la scodellina, la Santa Barbara, il tabernacolo, la sempre pronta, la pisella, la papera, la ciorgna, la dogana, la capanna, la lumaca, la foca, la fregna, la gnacchera, la becchina, la faccenda, la vongola, la cozza, la patonza, la pucchiacca, la lattuga, la piaga, il calamaio, il camino, la campana, la cappella del suffragio, il cespuglio, la frittella, il pozzo, la maliarda, la sbrodolona, la filippa, la passera, la bottega, la brocca, il fodero, la guaina, la fregna, la cosina, la pisellina, la sorca, la busta, la padella, la pelliccia, il sacco, la tagliola, la patacca, il tesoro del pirata.

Fare l'amore, fare zum zum, fare crac crac, far recitare Pulcinella, scopare, giocare a scopa, far suonare le campane, portare l'uccello al nido, intingere il biscotto, esplorare l'Africa nera, fare sesso, portare a spasso il cane, chiavare, aprire il portone, fare immersione, portare il latte, far nevicare in casa, mettere la roba buona nell'armadio, bussare, piantare fagioli, riempire la damigiana, grattugiare il formaggio, limare, dare di martello, annaffiare l'orto, dar da bere a Santa Cecilia, conquistare Gerusalemme, giocare al dottore, pulire la cantina, pulire il camino, far galoppare il puledro, portare il parroco in processione, salutare la Maddalena, ciulare, fottere, andare a letto, copulare, trombare, ficcare, dare un'occhiata in chiesa, fare il bagno a Gesù Bambino, dipingere la Gioconda, portare acqua al mulino, dare di cannone, visitare le catacombe, far suonare la zampogna, fare un deposito in banca, andare in gita a Cefalù, far nuotare il pesce, ravanare nel cassetto.

Un mese lontano da casa. Forse è ora che torni.

martedì 25 giugno 2013

Piccolo ma indispensabile glossario

Abolire, s. f. pl. Monete in uso presso i nativi dell'Australia in epoca pre-coloniale.
Alito, s. m. [dal gr. A, senza, e lithos, pietra] Spiaggia di sabbia finissima.
Amore, avv. [contrazione di a more] Indica l'andare a raccogliere bacche e si usa con il verbo andare: “Dove vai?” “Amore”. Usato anche se si va a ribes, a lamponi, o a fragole.
Asino, agg. inv. [contrazione dal gr. a, senza, e dal lat. sinus, narice] Si dice di persona priva del senso dell'olfatto.
Bellimbusto, s. m. Atto di infilare in maniera armonica un'epistola in un plico.
Bettola, s. f. [dall'ingl. bet, scommessa, e toll, pedaggio] Scommessa. I viaggiatori medievali inglesi scommettevano sull'esistenza o meno di una tassa di passaggio prima di arrivare a un ponte.
Binario, s. m. [dall'arabo bin, figlio, e Ario] Un fedele della dottrina di Ario, sconfessata dal Concilio di Nicea (per est. eretico).
Bistecca, s. f. Doppia nota stonata.
Bisturi, s. m. Coperchio speciale che permette una doppia chiusura.
Bordone, s. m. Orlo di grandi dimensioni.
Bucolico, agg. m. Che favorisce il formarsi di buchi (vedi processo di fermentazione dell'Emmenthal).
Concorrente, s. e agg. m. e f.  [dal franc. con, stupido, e courant, che corre] Si dice di persona stolta che va sempre di fretta.
Condono, s. m. Biglietto che accompagna un regalo.
Defalcare, v. intr. Liberare una porzione di territorio dalla presenza di rapaci.
Diretto, agg. m. Che riguarda il colon.
Ditirambo, agg. m. Persona dotata di segmenti terminali della mano grossi come quelli di Sylvester Stallone.
Eliminare, v. intr. Fissare una cintura esplosiva attorno alla vita di Elisabetta Canalis (per est. a una qualsiasi velina).
Fanciullo, agg. inv. Amante della poesia di Ciullo D'Alcamo.
Galateo, s. e agg. m. [dal gr. gala, latte, e atheos, senza Dio] Che non crede nel potere nutritivo del latte.
Gitano, agg. m. Dicesi di persona che rifiuta di partecipare a gite aziendali.
Imperturbabile, s. m. Indumento idrorepellente al quale è possibile fissare un motore munito di turbocompressore.
Imperscrutabile, agg. inv. Esaminabile attraverso un indumento idrorepellente.
Imprudente, agg. Si dice di indumento che non irrita la pelle. “Gratta?” “No, è imprudente.”
Insindacabile, agg. inv. Dicesi di persona che non potrà mai sperare di diventare sindaco e, per estensione, essere eletto a una qualsiasi carica pubblica.
Interferire, v. intr. Segnare un gol alla squadra nerazzurra milanese (il che è sempre una bella cosa).
Interruttore, s. m. Dispositivo che permette di accordare su una stessa nota i rutti di varie persone.
Latrare, s. m. Azione di un gruppo di monarchi che si riuniscono per cantare tutti insieme la sola nota la.
Mammola, s. f. Dicesi dell'azione di un gruppo di mamme che, durante una manifestazione sportiva, alzano e abbassano ritmicamente le braccia onde creare un'immagine di onda.
Mutande, n. pr. Parte della cordigliera sudamericana priva di ogni tipo di vita animale e quindi di qualsiasi rumore.
Obnubilare, v. intr. [dal lat. ob, sopra e nubes, nuvola] Viaggiare in aereo. “Come vai a Roma?” “Obnubilo.”
Obitorio, s. m. Luogo nel quale il Jedi di Guerre Stellari Obi-Wan Kenobi istruisce i suoi discepoli. Per est. qualsiasi aula di insegnamento.
Omologare, v. intr. [dal lat. homo, uomo, e dal gr. logos, discorso] Il chiaccherare tipico di gruppi di uomini che scambiano opinioni unicamente sullo sport e la patonza.
Preghiera, s. f. Stato di un oggetto cilindrico in legno prima che lo si rinforzi con un anello metallico.
Portone, s. m. Vasta baia, ideale per l'attracco di grosse navi.
Profeta, agg. e s. m. Amante di formaggio greco.
Raschiamento, s. m. Rasoio poco affilato.
Responsabile, s. e agg. inv. Persona divorziata e quindi disponibile a nuove nozze.
Retrocedere, v. intr. Sottomettersi volontariamente a un atto di sodomia.
Risotto, avv. Si dice di persona che va spesso in cantina. “Dov'è andato ancora?” “Risotto.”
Scovare, v. intr. [dal lat. cubare, covare, con prefissa una s che sta per ex, fuori da] Accettare che i propri figli vadano a vivere una vita indipendente.
Sollevare, v. intr. Togliere luce a qualcosa, qualcuno. Occultare alla vista, secretare.
Spalata, s. f. Modo di comportarsi, provinciale e risibile, simile a quello di una squadra di calcio di Ferrara.
Sublimare, v. tr. Passare la lima sulla parte inferiore di un oggetto metallico.
Tassista, s. e agg. m. Persona favorevole al pagamento di tasse e imposte.
Tormento, s. m. Neo di grosse dimensioni, a forma di torre, situato sulla parte inferiore del viso.
Voltagabbana, s. f. Arco in pietra le cui proporzioni sono state codificate da un noto stilista milanese.
Zebre, s.m. Indica un uomo munito di zebedei di dimensioni sovrane.
Zoofilo, s. m. Spago fabbricato a partire da setole animali.



lunedì 24 giugno 2013

Il Vermont e Casaleggio

Gianroberto Casaleggio
È stato molto strano leggere l'intervista di Casaleggio al Corriere della sera da qui, dai boschi del Vermont. Certo, alla fattoria abbiamo un modem che consente l'accesso a internet, ma tutta la vita quotidiana, dalla preparazione degli spettacoli alla cucina, ai lavori di manutenzione, a quelli nell'orto, è organizzata intorno al rifiuto quanto più possibile della tecnologia e della “modernità”. Internet, lungi dal costituire uno spazio di libertà, è qui solo uno strumento di accesso occasionale a notizie e dati difficilmente reperibili altrove. Ieri per esempio, su richiesta di Peter, ho passato un paio d'ore a mettere insieme notizie sullo sradicamento di ulivi in Palestina da parte dei soldati e dei coloni israeliani. Ammesso e non necessariamente concesso che ciò che regna qui sia uno spirito rivoluzionario, la rivoluzione è vista innanzitutto come rifiuto dei diktat di un sistema con il quale si cerca di avere il meno a che fare possibile.
Fin dalle prime righe l'intervista di Casaleggio mi ha fatto liquefare i didimi. “”Gli eletti devono comportarsi da portavoce, il loro compito è sviluppare il programma elettorale e mantenere gli impegni presi con chi li ha votati. Ogni collegio elettorale dovrebbe essere in grado di sfiduciare e quindi di far dimettere il parlamentare che si sottrae ai suoi obblighi in ogni momento attraverso referendum locali”, sostiene il grande pensatore meneghino.
Siorre e Siorri, ecco il parlamentare usa e getta, il deputato Scottex e il senatore Tampax: io li eleggo, sì, ma perché facciano e dicano sempre e solo quello che voglio io. Sennò, a casa!
È la logica post-moderna del provvisorio e della privazione di responsabilità, della decisione presa sotto l'influenza dell'emozione del momento, dell'idealizzazione mistica del popolo come entità eternamente intelligente e competente. È la negazione del fatto che ci sono occasioni nelle quali il coraggio e l'intelligenza del politico risiedono nella sua capacità di prendere decisioni contrarie ai desideri della maggioranza dei suoi elettori. Ho già avuto occasione di far notare su questo blog che se le cose avessero funzionato così la Francia avrebbe ancora oggi la pena di morte. In quell'occasione Chirac e pochi altri votarono per l'abolizione, contro la maggioranza del loro partito.
Che il nostro sistema politico funzioni male è un dato di fatto indiscutibile. Che la nostra classe politica sia largamente corrotta e incapace, idem. Ma che questo significhi che l'idea di democrazia rappresentativa sia da buttare è non solo un salto logico estremamente azzardato, ma anche un'apertura a sistemi molto più inquietanti e liberticidi.
Un politico dovrebbe idealmente fare ciò che io, cittadino, non posso fare: lavorare a tempo pieno allo studio, la comprensione e l'esame di tutta una serie di misure da prendere per mandare avanti in maniera armonica e dignitosa la macchina dello Stato al servizio dei cittadini. Lo Stato, nella sua architettura legislativa, non è una serie di cassetti ognuno dei quali può essere riempito o svuotato a volontà senza intaccare il contenuto degli altri. Prendere una decisione legislativa non significa solo decidere in merito a un punto x della struttura globale, ma provocare onde d'urto (positive o negative che siano) sull'insieme della struttura. Io posso anche essere convintissimo di pagare troppe tasse, o di non avere una copertura sociale sufficiente, o di essere vittima di questa o quella legge che considero iniqua, ma siccome so che altri cittadini, che vivono vite diverse dalla mia, la pensano diversamente, ho bisogno che un gruppo di persone rappresentative di vari orizzonti politici, sociologici e culturali, trovi di volta in volta delle soluzioni anche se queste non vanno nel senso delle mie aspettative.
La grande truffa di Casaleggio consiste poi nel volerci far credere che internet sia in grado di garantire quella trasparenza che la politica tradizionale occulta: “La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione”, spiega il filosofo pubblicitario. Balle spaziali. In realtà non c'è niente di più opaco di internet. Come funziona internet? Chi controlla chi? Chi ha scritto quello che leggo? Quei trecento commenti positivi o negativi a una data notizia da dove vengono? Quanti soldi fa guadagnare quel piccolo inserto pubblicitario che si apre quando vado su un sito? Chi manipola chi?
Quello di Casaleggio è uno scientismo da primo ottocento, alla Auguste Comte; è la negazione dell'entropia, l'illusione della tecnologia liberatrice, la sottomissione alla disarmante idea che “gli smartphone, i tablet e ora Google glass, [ci consentano] di avere in tempo reale, mentre ci si sposta, informazioni su tutto ciò che ci circonda”, facendo una tragica confusione tra cìò che ci circonda e la sua immagine virtuale. E poi: vogliamo veramente vivere in un mondo in cui sia possibile avere informazioni in tempo reale su tutto ciò che ci circonda? Vogliamo davvero delegare per sempre a degli strumenti informatici la nostra capacità di intuizione, le gioie delle nostre scoperte, i piaceri delle nostre sorprese? Dopo migliaia di anni di storia umana possiamo davvero ancora concederci il lusso di crogiolarci nell'illusione che disporre di più informazioni faccia di noi persone migliori?
Pare che Shakespeare abbia avuto accesso a una trentina di libri in vita sua. È certo che Sofocle, Dante e Leonardo da Vinci messi insieme abbiano disposto di meno informazioni e abbiano letto meno libri di quanti ne abbia letti io. Eppure io non scriverò mai un nuovo Re Lear, né un nuovo Edipo re, o un solo capitolo di una nuova Divina Commedia. Siamo sinceri, non dipingerò mai nemmeno una nuova Vergine delle rocce.
La moltiplicazione dell'informazione è diventata la spina dorsale del sistema globale di sfruttamento delle masse da parte di pochi. Credere e affermare che quel sistema possa essere scardinato aumentando ulteriormente l'informazione è una pia illusione, se non un atto di malafede.
La possibilità di accesso all'informazione globale è un mito. Non solo sapere non serve a nulla se prima non si è imparato a scegliere (e questo non è certo internet che te lo può insegnare), ma illudersi che sapere di più significhi essere in grado di scegliere meglio significa non aver capito niente della natura umana.
Casaleggio fa in realtà parte di quel sistema entropico che dice di voler scardinare, ne è un fautore entusiasta quanto pericoloso. Che il suo pensiero sia diventato così importante da meritare attenzione è un sintomo della gravità della malattia di cui soffre l'Italia oggi. Che la sua voce appaia come un'alternativa al sistema in vigore è semplicemente tragico.
Il sistema ha bisogno di uno, dieci, cento Casaleggio. Il sistema vive di marketing. Ne ha bisogno per mantenere viva l'illusione che grazie al suo sviluppo domani sarà migliore di oggi, per convincerci che siamo sulla buona strada e che il progresso esiste davvero. E non importa se l'Italia, trasformata e peggiorata per vent'anni da un imprenditore inceronato privo di scrupoli, deve adesso subire i deliri di un manipolatore di opinione. Il sistema ha bisogno che i filosofi siano messi a tacere e con loro gli umanisti e tutti quelli che mettono la persona umana al centro delle loro riflessioni.
Casaleggio è una escort sado-maso del potere finanziario, un'amante a pagamento, un illusionista da baraccone, un venditore di sciroppi miracolosi che curano il mal di testa, la bromidrosi acuta e il cancro tutti insieme, un Ron Hubbard de' noialtri.
Lette da qui, le sue parole sono interessanti quanto una popò del cagnolino di Lele Mora. Purtroppo, vista l'importanza che molti tendono ad accordar loro, sono molto più inquietanti.

sabato 22 giugno 2013

Nestlé e l'allattamento

La foto che apre questo post è piccola, ma vorrei chiederti di esaminarla per bene. In primo piano ci sono due donne, una di schiena e l'altra di tre quarti. La seconda sta allattando. Guarda sotto il bambino: lo vedi quell'oggetto rotondo e grigio? Vedi che è fissato sopra un triangolo bianco con su un logo e che c'è anche un filo nero che scende fino a terra? Sì, hai capito: è un microfono. Ed ecco la didascalia che accompagna la foto apparsa sul sito Venezuelanalysis.com: “Una giornalista del servizio pubblico venezueliano nutre il figlio al seno mentre lavora. Nutrire al seno in pubblico è una cosa normalmente accettata in Venezuela.”
Il sito è stato fondatodal giornalista Gregory Wilpert, marito dell'ex-console venezueliano a New York Carol Delgado. Non è un sito ufficiale, era pro-Chávez adesso è pro-Maduro, e a quanto ho potuto vedere su internet è generalmente considerato serio e interessante.
Nel giugno scorso ha pubblicato un post intitolato Il Venzuela promuove l'allattamento al seno contro i cibi per bébé, i media ufficiali vanno in tilt. Cos'è successo?
Prima di tutto bisogna tornare qualche anno indietro, nel 2007, quando la Camera di Caracas votò una Legge per la protezione, la promozione e l'incitamento all'allattamento al seno. Fondalmente la legge metteva un freno alle possibilità di multinazionali come la Nestlé di far pubblicità ai loro latti in polvere. Senonché 1) la legge non prevedeva penalità in caso di infrazione e 2) la Nestlé e le altre se ne sono allegramente infischiate. In che modo? “Le Compagnie danno in omaggio abbondanti campioni dei loro prodotti a lavoratori della salute e ospedali in modo da farne degli alleati — informa Venzuelanalysis —; danno poi campioni omaggio alle puerpere, trasformando i neonati in consumatori dipendenti, o comunque scoraggiando l'allattamento al seno.
Ora, l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che i bébé siano nutriti esclusivamente al seno per i primi sei mesi di vita e nel 1981 la 34a Assemblea Mondiale della Sanità ha adottato una risoluzione nella quale era citato il Codice di Marketing dei Latti Sostitutivi a quello materno. In questo documento era specificato che le compagnie produttrici non dovrebbero pubblicizzare i loro prodotti negli ospedali, né offrire campioni gratuiti alle puerpere, né tantomeno dare informazioni errate. Il che è esattamente ciò che la Nestlé e le altre continuano imperturbabilmente a fare.
L'anno scorso il Venezuela ha esteso i diritti delle donne, portando il congedo maternità a sei mesi e imponendo a tutte le imprese con più di venti lavoratori di avere uno spazio dedicato all'allattamento e di permettere alle madri due pause di mezz'ora quotidiane. Qualora lo spazio non esistesse, i minuti diventano 90.
Molti osservatori hanno notato come la Nestlé in particolare si serva di ciò che chiama “aiuti umanitari” per ampliare i suoi mercati, offrendo regali di ogni genere a operatori della sanità in vari paesi del mondo.
Ovviamente né la vecchia legge venezueliana, né la nuova, che prevede multe da 600$ a 50.000$, vietano in alcun modo la libera vendita di latte in polvere. Ma questo la stampa sembra ignorarlo. Ecco qualche titolo: Fox News Latina: Il Venezuela vuole vietare i biberon per favorire l'allattamento al seno; Reuters: Il Venezuela vuole portare via i biberon dalle bocche dei bambini; CNN: Il Venezuela vuole vietare i biberon; L'Huffington Post (edizione spagnola): Il Venezuela esamina il divieto dei biberon a favore dell'allattamento al seno; Semana (Caracas): Biberon e succhiotto: i nuovi nemici del Chavismo; El Pais (Madrid): il Venezuela vuole obbligare le madri ad allattare; El Popular (Lima): Nicolas Maduro vuole eliminare i biberon; Noticias 24 (Caracas): Proibiranno i biberon negli ospedali venezueliani per obbligare all'allattamento; El Mundo (Caracas): Il Venezuela dichiara guerra ai biberon; Entornointeligente (Caracas): Addio ai biberon per stimolare l'allattamento.
Kautsky Garcia, della cooperativa LactArte dichiara che molte madri credono davvero che il governo verrà a portar loro via i biberon, obbligandole ad allattare.
Inutile precisare che tutta questa campagna denigratoria quanto isterica é una nuova dimostrazione del potere delle multinazionali che hanno ottenuto poco tempo fa, tanto per fare un esempio, che negli Stati Uniti non ci sia alcun obbligo di indicare la presenza o meno di OGM su una qualsiasi confezione.
In Venezuela numerosi attivisti hanno lanciato una nuova campagna di boicottaggio contro la Nestlé, che non è certo la sola multinazionale a comportarsi come lo fa, ma che è emblematica tanto a causa della sua storia passata che della sua superpotenza finanziaria. Nestlé possiede 8.000 marche in giro per il mondo. Ottomila. L'Italia rappresenta l'ottavo mercato mondiale per la Nestlé, in termini di fatturato.
Per finire, alcune delle marche più conosciute che appartengono a Nestlé:
Nesquik, Nescafé, Nespresso, Orzoro, Acqua Panna, Acqua Vera, Contrex, Levissima, Pejo, Perrier, Recoaro, S.Pellegrino, San Bernardo, Vera, Vittel, Nestea, Gingerino, Nestlé Omega Plus, Nesquick, Sanbitter, Svelty, Buitoni, Antica Gelateria del Corso, Häagen Dasz, Motta Gelati, La Valle degli Orti, Guigoz, Mio, Neslac, Nido, Nidina, Maggi, Mare fresco, After eight, Butterfinger, Crunch, Kit Kat, Smarties, Perugina, Polo, Galak, Lion, Quality street, Felix, Friskies, Gourmet, Purina.
Buon appetito.

venerdì 21 giugno 2013

Una texana del Surrey

Margaret

Margaret Doughty è una signora di 64 anni che vive a Palacios, Texas, un paese di cinquemila abitanti sulla costa del Golfo del Messico. È però nata nel Surrey, a venticinque chilometri da Londra, in un posto appena più grande, Tatsfield. Da più di trent'anni abita negli USA, ma non ha mai chiesto la cittadinanza americana.
Non ha viaggiato molto. È stata a Buffalo, nello stato di New York, a Louisville, Kentucky, a Chicago, e un po' in giro per il Texas. Le piace guardare la trasmissione di Oprah Winfrey, le piacciono la M.A.A.C.C.E. (Maryland Association for Adult, Community and Continuing Education), la First Book Matagorda (associazione che distribuisce libri ai bambini poveri della Contea di Matagorda, di cui fa parte Palacios), la Lifetime Learning Brenham (associazione culturale della vicina contea di Washington), la AARP (American Association of Retired Persons, ovvero Associazione Americana Pensionati), la Verizon Foundation (che si occupa di problemi energetici in campo sociale), il Lady Bird Johnson Wildflower Center (specializzato in ricerca floreale) e le piacciono le colline del Texas. Queste almeno sono le cose che Margaret Doughty ha scelto di evidenziare sulla sua pagina Facebook.
Margaret ha una faccia sorridente e sulla foto che ha messo su Facebook porta una giacca che assomiglia stranamente a una mia vecchia giacca, comprata vent'anni fa in saldo da Marlboro Country.
Ma Margaret ha un grave difetto: è atea. Atea in Texas. Mmmh...
Per ragioni che ignoro, dopo tre decenni di vita americana, Margaret ha finalmente deciso di chiedere la cittadinanza. Probabilmente pensava che sarebbe stata una formalità. Forse la decisione l'ha presa dopo lunghe riflessioni. Dopo tutto, rinunciare all'invidiabile status di suddita di sua Maestà Elisabetta II non è cosa da poco.
Comunque sia, si è procurata i moduli necessari alla domanda di naturalizzazione e li ha riempiti. Una delle domande però le ha dato da pensare. La domanda era questa: “Sareste pronto a prendere le armi per difendere gli Stati Uniti d'America?”
Margaret era perfettamente conscia del fatto che le probabilità che qualcuno venisse a chiedere a una sessantaquattrenne texana di prendere le armi per difendere gli Stati Uniti d'America erano alte quanto quelle di una legge che vietasse il porto d'armi in Texas. Ma a Margaret non piace raccontare fandonie. Una parola è una parola, per Margaret. Allora ha scritto “no” nello spazio riservato alla risposta.
Poi ha preso la macchina ed è andata a Houston a depositare il plico presso l'ufficio competente, che poi sarebbe quello dell'USCIS (United States Citizenship and Immigration Services). Qualche tempo dopo le è arrivata la risposta. Purtroppo non era quella sperata.
Per l'USCIS c'era un problema e il problema era quella mancanza di buona volontà a prendere le armi da parte di Margaret in difesa degli Stati Uniti d'America. Per carità, non che l'USCIS avesse rifiutato in blocco la domanda: semplicemente, richiedeva “una lettera su carta ufficiale di una Chiesa che certifichi che lei fa parte di quella chiesa e che precisi la posizione di quella Chiesa sul porto d'armi”.
Già il burocratese è sempre una lingua misteriosa, figuriamoci poi quando è tradotto da un'altra lingua... Quindi mi spiegherò meglio.
Quello che l'USCIS diceva in sostanza era: ok Margaret, lei sembra una brava persona, che vive qui da trent'anni, che guarda Oprah Winfrey e che è innamorata delle nostre colline e noi la cittadinanza saremmo anche disposti a dargliela. Guardi che noi siamo tolleranti. Siamo perfino disposti ad accettare il fatto che la sua religione le imponga di non portare armi. Dopo tuto siamo Texani e abbiamo visto molti di quei film western nei quali c'erano dei barbuti vestiti di nero che avevano le sue stesse idee. Abbiamo anche visto The witness, con Harrison Ford, e sappiamo che in Pennsylvania ci sono ancora gli Amish, barbuti pure loro, che rifiutano non solo le armi, ma anche l'elettricità e tutta una serie di altre cose che noi usiamo quotidianamente. Vabbé, sono un po' matti, ma il nostro è un grande Paese e c'è posto per tutti. Lei è un'Amish? Oppure fa parte di un'altra Chiesa della quale non siamo al corrente? Guradi, basta che lei chieda al suo vescovo (se non lo chiamate vescovo va bene lo stesso) di farle una letterina e tutto andrà a posto.
Ma Margaret non ha nessun vescovo. Margaret non crede che Dio esista. Margaret crede che le guerre siano state fatte troppe volte in nome di Dio, che la Storia del mondo sia una lunga litania di vescovi che benedicono cannoni, che la vera spiritualità, la vera compassione e il vero amore del prossimo si possano sviluppare solo liberandosi delle imposizioni e delle superstizioni religiose.
Adesso Margaret sta ricevendo centinaia di mail di persone che le esprimono solidarietà. Da parte sua scrive: “Fin dalla mia giovinezza ho sempre avuto una ferma e sincera obiezione a partecipare a qualsiasi atto di guerra e a portare armi. Credo profondamente e sinceramente che togliere la vita a qualcuno non sia né morale né etico e ciò in cui credo da sempre dal punto di vista religioso e spirituale mi impone di non contribuire alla guerra portando armi. Le mie idee sono forti e radicate quanto quelle di chi crede in Dio e ha una fede religiosa. Voglio comunque precisare che sarei disposta a effettuare lavori di pubblico interesse in campo civile o di servire come membro non combattente delle Forze Armate degli Stati Uniti se e quando la legge me lo imponesse”.
Ora la speranza di Margaret è che l'USCIS si ricordi di una sentenza della Corte Suprema del 1970, quando un tale Elliott Ashton West II rifiutò il servizio di leva sulla base di convinzioni sviluppate attraverso “letture nei campi della storia e della sociologia.” La Corte Suprema gli riconobbe il diritto all'obiezione spiegando che tutto ciò che un obiettore doveva dimostrare era che le sue idee “occupavano nella sua vita lo stesso spazio che la fede in un Essere Supremo occupa nella vita di un credente.”
Andrew L. Seidel, avvocato della Freedom from Religion Foundation (Fondazione per la Libertà dalla Religione) ha dichiarato che i casi sono due: “O gli ufficiali [dell'USCIS] di Houston sono degli incapaci, oppure discriminano volontariamente persone non credenti che richiedono la cittadinanza.”
Sarà che io per non fare il militare ho dovuto ricorrere a uno stratagemma perché l'obiezione di coscienza manco c'era (la legge Marcora la introdusse solo nel '72), ma questa storia mi piace.

mercoledì 19 giugno 2013

Vermont (3)

Shadow lake

Stamattina quando sono sceso dalla mia stanzetta mansardata per andare a mingere piacevolmente contro un albero dall'altra parte del sentiero ho dato un'occhiata al termometro appeso al muro esterno della fattoria: 48° Farenheit. Mentre me ne stavo lì in piedi tenendo in mano il cosino intirizzito di cui il Creatore ha avuto la buona idea di dotarmi, cercando di tenerlo in una posizione favorevole alla fuoruscita di liquidi ormai inutili, ho fatto una conversione mentale in centigradi: 8°. Mmmh... Sono tornato in camera, ho verificato sul computer: 8,889° C, per essere precisi. Doppio mmmh...
Emergendo dal letto mi ero infilato sandali e bermuda, ma avevo preso la precauzione di aggiungere un pile invernale alla t-shirt gialla con su scritto Rebel Music Rockers Club.
Sì: ho una t-shirt gialla con su scritto Rebel Music Rockers Club, non chiedermi perché. A dir la verità ne ho anche una con su il logo della birra Coors, il che ha scatenato ilarità e sdegno generale quando l'ho sfoggiata la settimana scorsa, non solo perché la birra Coors fa schifo, ma anche perché pare che il padrone della Coors sia un Repubblicano di quelli che trovavano che Bush era uno di sinistra. Il fatto che l'avessi pagata meno di 10$ (8€) al negozio Old Navy della 36esima strada di Manhattan non è stato accettato come una giustificazione sufficiente da nessuno.
Sono andato in cucina, ho aperto l'imponente frigorifero probabilmente uscito dalla fabbrica quando John Wayne andava ancora a cavallo con tanto di camicia rossa e gilet di cuoio e mi sono servito una dose inconfessabile di quello yoghurt denso come le chiappette di Uma Thurman a vent'anni che Gabe prepara regolarmente in grandi vasi di vetro. Anche solo alla vista di quella bianca delizia qualsiasi patologo specializzato nella cura del colesterolo non esiterebbe a tagliarsi le vene, impiccarsi e spararsi in bocca per maggiore precauzione, ma non importa.
Versato lo yoghurt dentro una scodellina bianca col bordo verde, ho visto che la la Moka era appoggiata sui fornelli. Soffermiamoci un momento su questa Moka. Credo che la Bialetti l'abbia sfornata come prototipo unico, forse per esporla in qualche fiera di provincia: ha dimensioni pazzesche. Non so quante tazzine di espresso potrebbe riempire, ma se l'esercito coreano dovesse invadere gli Stati Uniti basterebbe preparare il caffé una sola volta per soddisfare tutti gli artiglieri di Kim Jong-un. Oltre tutto qualcuno deve avere spiegato a questi americani che una Moka non va mai lavata col detersivo, ma siccome probabilmente questo qualcuno non parlava abbastanza bene l'inglese, è stato frainteso: non solo la Moka non è mai stata lavata con alcun detersivo all'interno, ma è stata amorevolmente protetta da ogni pericolo pulitorio anche all'esterno, assumendo col tempo una patina non solo nera come una notte senza luna in un tunnel congolese, ma anche spessa come l'adipe di Giuliano Ferrara. Ha un aspetto così minaccioso che sembra una delle astronavi di Darth Fener.
Nella caffettiera c'era ancora una buona dose di caffé del giorno prima. “E che me ne importa a me?, mi sono detto, tanto, riscaldato o no, è comunque una schifezza...” E, riversata la brodaglia marrone in un pentolino, me la sono riscaldata. Ho preso una tazza col manico con su scritto I❤NY, ho versato il caffé, ho aggiunto una buona dose di latte presa dal contenitore di plastica da 1 gallone (3,7854118 litri), due cucchiaini di zucchero, e sono tornato in giardino. Niente da fare: né i miei sandali, né i miei bermuda verde scuro erano stati sufficienti per convincere la temperatura ad alzarsi a un livello accettabile per un 19 di giugno.
Dall'orto arrivavano i rumori della zappa di Chris, che probabilmente era già all'opera da più di un'ora. Geneviève è uscita di casa mentre la macchina di Elka scendeva dalla collina e le due se ne sono andate come ogni mattina a fare una nuotatina nelle acque gelide di Shadow Lake. È passato Eddie, quello che sta aspettando l'arrivo della yurta che ha ordinato e per la quale ha fabbricato una base di legno che assomiglia stranamente a un eliporto perfettamente incongruo nel verde del Vermont.
Ormai erano le 7 passate. È uscita Erin, con una borsa in spalla e degli occhiali da sole dietro i quali si indovinavano, dalla camminata strascicata, due occhi ancora avvolti dai fumi del sonno. “Hi, Erin”. “'Morning, Massimo”. Le ho chiesto dove stesse andando. Mi ha risposto che andava a correre fino a Shadow Lake per fare un bagno. Ho tenuto per me le considerazioni che mi hanno immediatamente attraversato il cervello circa la pazzia maniacale di molti americani sul fatto di tenersi in forma .
Dal sentiero è arrivata Suzie, la texana-sorridente-con-cappello-di-paglia. L'ho salutata canticchiandole le prime note di Wake up little Suzie degli Everly Brothers, 1958 (se non la conosci, vergognati e poi vai qui). Suzie mi ha abbracciato come se fossi la nonna che non vedeva da sei anni e otto mesi, cioé da quando  era stata arrestata per vendita illegale di pubblicazioni oscene a bambini di terza elementare della periferia chic di Houston. Ho fatto del mio meglio per rispondere all'abbraccio senza versare sul suo pur modesto posteriore la minima goccia di caffé bollente. Suzie si è allontanata sorridendo al mondo intero. Io sono tornato in casa.
In cucina adesso c'erano Sam (nomignolo che sta per Samantha), Alex, la bionda del Canada, e Gabe. Sam si stava preparando tre uova al tegamino. Siccome le uova vengono direttamente dal pollaio dietro l'orto e sono prodotte da galline che starnazzano felici e ignare del loro ineluttabile destino, hanno naturalmente un tuorlo di un giallo da fare invidia a Van Gogh e sono delle bombe alimentari con un contenuto di proteico tale da soddisfare i bisogni quotidiani di un giocatore di rugby in piena attività. Qui sono in molti a prepararsi tre uova al tegamino ogni mattina, roba anche questa da provocare suicidi per disperazione di orde di dietologi. Ho notato che Lily se ne fa quattro, strapazzate, che poi si divide col figlioletto di poco più di tre anni in parti appena leggermente disuguali. Da galera.
La mia tazza INY conteneva ancora una dose di caffé sufficiente per una famiglia di sette persone. Mi sono tagliato una fetta di quel bel pane scuro che Peter sforna due volte alla settimana, l'ho spalmata di uno spesso strato di burro di arachidi e di uno più sottile di marmellata di mirtilli e l'ho addentata con gusto. In cucina è entrata …... (il cui nome tacerò per compassione) che, pur passandomi davanti a meno di un metro si è ben guardata dal rispondere al mio saluto. Non è che ce l'abbia con me, è semplicemente una di quelle indisponenti persone che non capirà mai che rispondere a un saluto mattutino non implica alcun rischio maggiore per la salute.
Sono uscito sulla veranda e mi sono seduto sul divano continuando a masticare. A un certo punto è passata una macchina, il che è sempre un po' seccante quando stai guardando gli alberi e ascoltando il cinguettio degli uccellini sentendomi in vena bucolica. Ho sopportato in silenzio, sorseggiando caffé.
Finalmente era arrivato il momento della prima sigaretta del giorno, per gustare pienamante la quale ero stato attento a lasciare nella tazza una dose sufficiente di beverone al calzino usato.
Momenti di satori.
Finita la sigaretta, sono andato a sciacquare INY e sono tornato in camera per buttar giù questo post.
Ormai sono le nove meno dieci. Giusto il tempo di andare a darmi una lavatina corporea e di strigliarmi i denti prima della riunione mattutina e dell'inizio delle prove.
Ma tu non preoccuparti: quando avrò altre cose importanti da farti sapere non mancherò di scriverti.

martedì 11 giugno 2013

Un vecchio scontrino

 
Un'amica mi ha segnalato un post apparso sul sito del settimanale socialista francese Le nouvel observateur. A quanto pare, tale Daniel Glazman ha ritrovato in fondo a un cassetto una vecchia ricevuta di supermercato Carrefour del 1997. Incuriosito, è andato nello stesso supermercato a verificare quale fosse la differenza di prezzo dei vari prodotti tra il '97 e oggi. Ovviamente tutti i prodotti sono risultati più cari, ma quel che colpisce sono le percentuali degli aumenti:

  • 6 bottiglie di acqua naturale: + 72,74%
  • dentifricio Colgate: + 93,90%
  • 1litro di olio di semi: + 63,37%
  • 1litro½ di Coca-Cola light: + 94,83%
  • 1 gel doccia Sanex: + 73,11%
  • 1 Fjord alla vaniglia: + 91,47%
  • 1 vasetto marmellata fragole Bonne Maman: + 66,03%
  • 1 pacchetto di biscotti Petit Écolier: + 32,07%
  • 1 liquido sturalavandini: + 55,69%
  • 2 pacchetti di patatine Chipster: + 47,26%
  • 1 confezione di té alla vaniglia: + 57,70%
  • 1 deodorante per il bagno: +61,96%
Al di là di ogni giudizio su uno che beve té alla vaniglia comprato al supermercato, mangia biscotti Petit Écolier magari intingendoli in un bicchiere di Coca-Cola light e quando non lo fa divora patatine Chipster, il che gli rende evidentemente indispensabile l'acquisto di un deodorante per il bagno, le cifre sono interessanti.
Naturalmente c'è stato subito chi si è precipitato su Twitter e Facebook per commentare che gli stipendi nel frattempo erano aumentati anche loro. Ma visto che in Francia fin dal 1950 esiste lo SMIC (salaire minimum interprofessionnel de croissance), ovvero il salario minimo garantito, la verifica è facile: tra il '97 e oggi lo SMIC è aumentato del 56,40%, poco più della metà dell'aumento della Coca-Cola light.
C'è chi ha calcolato l'aumento medio dei prodotti presi in esame e ha poi commentato che un'inflazione media del 4% all'anno per 16 anni non era poi così enorme. Può anche darsi che sia così, però senza quell'inflazione (che non aveva niente di inevitabile), la Francia, come molti altri Paesi europei, non si ritroverebbe oggi coperta di debiti.
Altri ancora hanno fatto presente che per capire queste cifre bisognerebbe prendere come riferimento i dati ufficiali pubblicati ogni anno dal governo sull'inflazione. Già, ma il giochino è semplice: basta inserire nei calcoli una televisione al plasma o anche solo un lettore CD, i cui prezzi sono evidentemente diminuiti in maniera drastica, per far dire alle cifre tutto il contrario di ciò di cui la gente si accorge sulla propria pelle.
Un esempio certamente non solo francese di manipolazione di cifre è quello del numero dei disoccupati. Regolarmente ci sono migliaia e migliaia di persone che giungono alla fine del periodo in cui avevano diritto a una sussistenza in quanto privi di lavoro, ma quelle persone spariscono come per incantesimo dalle statistiche. Nell'aprile scorso in Francia le cifre ufficiali parlavano di un aumento di 65.000 disoccupati rispetto al mese precedente. Bisognava sapere dove andare a cercare per trovare un piccolo dettaglio interessante: nello stesso periodo le 285.000 altre persone che avevano perso il diritto a una sussistenza erano semplicemente spariti dalle statistiche. Quanti di loro avevano trovato un lavoro? Quanti non avevano ormai più niente? Mistero...
Naturalmente tutto questo non è risolvibile con un colpo di bacchetta magica alla Harry Potter. E altrettanto naturalmente tutto questo non è solo colpa dei vari Commissari dell'Unione Europea e più in generale dell'euro.
Ma il fondo del problema è proprio questo: ormai viviamo in una struttura sociale che sembra fare di tutto per diluire quanto possibile tutte le responsabilità e tutte le colpe, al di fuori di quelle dei più demuniti. Le società occidentali hanno raggiunto un tale livello di complessità e di incrociamenti multipli di strutture, sottostrutture, commissioni, autorità locali, banche, faccendieri, intermediari, rivenditori e chi più ne ha più ne metta, che è diventato praticamente impossibile additare un responsabile quando qualcosa non funziona.
C'è chi urla “Tutti a casa!” come se quel mantra fosse sufficiente a garantire tempi migliori e come se avesse la possibilità di concretizzarsi in alcunché di positivo. C'è chi continua ad affidare le proprie speranze a vecchi partiti e vecchie ideologie che hanno fatto il loro tempo e si sono dimostrati ampiamente incapaci di imporre alla Storia una direzione diversa. C'è poi naturalmente la grande maggioranza che non solo se ne infischia, ma sembra pure godere a restare succube di un sistema che la strizza e la stritola fino all'inverosimile.
La mia impressione è che l'unica maniera di lottare contro tutto questo marasma sia di sforzarsi quanto più possibile a consumare prodotti semplici, che non vengano da troppo lontano e che assicurino un minimo di tracciabilità. Lo so, non è facile e uno non può passare la vita a informarsi su ogni prodotto che consuma. Ma già il fatto di rifiutarsi di accordare la minima attenzione alla pubblicità, alla moda, ai vari trend che si succedono settimana dopo settimana e alle migliaia di pseudo-novità che ci vengono continuamente proposte e che ci assalgono come cavalloni impetuosi assalgono una spiaggia indifesa può essere un inizio. Altrimenti quei cavalloni finiranno davvero col divorarsi la spiaggia e con lei anche noi che ci stiamo sopra. Il che è esattamente ciò che sta succedendo.

venerdì 7 giugno 2013

Vermont (2)


 Nel deposito dei pupazzi

Come ho scritto l'altro ieri, sono nel Vermont, dal Bread and Puppet, la compagnia con la quale feci i miei primi passi da marionettista 44 anni fa, appena uscito dalla scuola del Piccolo di Milano. Ci sono venuto varie volte in questi ultimi anni, dopo una lunga pausa di 27 anni. Ma non ero mai venuto presto come quest'anno, ai primi di giugno.
Il paesino di 950 abitanti accanto al quale si trova la fattoria del Bread è alla latitudine di Marina di Ravenna, ma ovviamente non c'è il mare e la gente è molto poco romagnola.
Non sono quanto sia grande il terreno della fattoria, forse una trentina di ettari. C'è il la fattoria vera e propria, con il vecchio granaio dell'800 che serve da museo; attaccato alla fattoria c'è il laboratorio dove vengono tenuti martelli, cacciaviti, seghe e attrezzi vari; sopra il laboratorio, la painting room, la stanza della pittura, detta anche music room perché certe volte ospite prove musicali, o ancora ballroom, perché è molto chic poter dire che si ha una sala da ballo.
All'esterno, di fianco all'ingresso del museo, c'è uno dei forni artigianali che Peter Schumann si è costruito anni fa per cuocere il suo famoso pane, protetto da una tettoie di alluminio. Il forno è stato fatto intrecciando rami umidi su una base di mattoni da camino, usando poi la struttura così ottenuta per fare una volta di creta. Una volta ottenuta la forma voluta, è bastato accendere un grande fuoco per far seccare l'argilla in modo definitivo. 

Lavori sul tetto della fattoria

Il museo, aperto al pubblico da metà giugno a fine settembre è un posto incredibile nel quale sono in mostra migliaia di pupazzi di ogni genere e tipo, dai più piccoli a quelli di 5 o 6 matri d'altezza, che Peter ha usato in cinquant'anni di spettacoli. Sotto il museo c'è un grande spazio diviso in varie sezioni. La più grande non serve a granché, è uno spazio di riserva. In un'altra ci sono i barattoli di pittura e i pennelli di cui Peter si serve quando dipinge all'aperto. C'è poi una piccola scena con qualche panca dove occasionalmente viene fatto uno spettacolo e c'è il music shed, dove si trovano gli strumenti musicali appartenenti alla compagnia (quelli personali vengono tenuti nella music room).
Sopra il museo c'è la costume room, con ogni genere di indumento e accessori come cappelli, borse cinture, ecc., nonché la banner room, con centinaia di bandiere fatte a partire dai tessuti stampati nel printing building. In cima al tetto del museo c'è una campana che viene suonata quando è ora di pranzo e cena, o quando c'è necessità di una riunione dell'insieme della troupe.
Dietro il museo c'è il Paper mache cathedral and dirt floor theater, o cattedrale di cartapesta e teatro in terra battuta. Comprende una grande mezzanina e un vasto primo piano con altre centinaia di pupazzi a disposizione. Al di là di una grossa siepe c'è l'orto, poi il Printing building, o casa della tipografia, dove vengono stampati a mano manifesti, piccoli libri e serigrafie su tessuto; di fianco al Printing building in questo momento c'è una spianata rotonda di una dozzina di metri di diametro destinata ad accogliere nei prossimi giorni una grande yurta nella quale vivra Eddie, che sarà incaricato della manutenzione generale nei prossimi anni.
Un po' più in su c'è una casa in legno appartenente a una delle figlie Schumann, una vecchia grossa roulotte appartenente a un'altra, e, in cima alla collina, la casa di Peter e della moglie, Elka.
Di fronte alla fattoria, dall'altro lato della strada sulla quale le macchine che passano sono numerose come su una provinciale della Basilicata una domenica mattina prima delle sei, c'è lo storage shed, il deposito dove vengono tenuti a disposizione per nuovi spettacoli centinaia e centinaia di pupazzi e maschere che hanno già servito in spettacoli precedenti. Accanto allo storage shed c'è una tettoia sotto la quale si trovano il ladder shed per le scale, il pole shed per i pali, lo ski shed per gli sci e il garbage shed per le bottiglie di vetro vuote, i barattoli d'alluminio, i pezzi di cartone e altre cose riciclabili.
Dietro lo shed c'è lo stagno delle anatre. Prendendo il sentiero sulla destra si arriva a una batteria di outhouses, ovvero gabinetti da campagna, in legno. Fondamentalmente sono delle assi da gabinetto fissate su una struttura in legno che danno su un grosso buco nel quale, dopo aver fatto quel che si deve, si butta un po' di segatura. La natura fa il resto. 

 Outhouses

 Sulla sinistra delle outhouses c'è il secondo orto, più grande dell'altro, con accanto il recinto dei maiali, che in questo momento sono tre.
Riprendendo il sentiero e lasciandosi sulla sinistra un altro forno artigianale, più grosso del primo, in grado di accogliere una sessantina di grossi pani da più di un chilo, si arriva all'arena naturale dove siede il pubblico estivo per assistere agli spettacoli domenicali. In questo momento ci pascolano una buona ventina di pecore che però saranno spostate più in là tra una quindicina di giorni. Sopra l'anfiteatro c'è il bosco di conifere, con alberi altissimi il cui fogliame inizia a una buona ventina di metri da terra, che ospita una serie di piccoli memoriali dedicati ognuno a un membro della compagnia deceduto negli anni passati. E poi ci sono Germantown, Las Palmas e The gravel pit, tre posti abbastanza protetti dalla vegetazione, comprendenti ognuno uno o più vecchi autobus trasformati in residenze estive, qualche vecchia roulotte e qualche minuscola casetta di legno di una stanza sola. 

I tre maiali
 
In questo momento siamo solo 25 alla fattoria, ma alla fine di giugno arriverà il primo gruppo di una quarantina di stagisti, al quale ne seguirà un secondo in agosto. Il che non vuol dire che ci saranno solo 65 persone a tavola, visto che, almeno nei week-end, un'altra buona trentina di “vicini” saranno regolarmente presenti per partecipare agli spettacoli. Ho messo vicini tra virgolette perché, vista la densità di popolazione del Vermont, alcuni di loro vengono da qualche decina di chilometri più in là.
Per ora fervono i preparativi. L'inverno qui è finito da poco — l'ultima nevicata c'è stata dieci giorni fa — e l'inverno è una cosa seria quando il termometro scende fino a -30°. Oggi degli operai venuti da fuori stanno riparando una parte del tetto. Ieri io e Geneviève abbiamo passato tutta la giornata a mettere ordine nella stanza del cucito mentre altri si occupavano chi dell'orto, chi del deposito delle bandiere, chi delle pecore, chi dei preparativi per le prossime prove nella cattedrale.
Credo sia impossibile spiegare come funziona la vita qui. Forse se ne può avere un'idea andando a guardare qualche documentario sulle comuni hippy degli anni '60. È un miscuglio di organizzazione collettiva e di caos totale, di osservanza di regole relativamente precise e di (spesso incongrue) iniziative personali. Come in ogni comunità è molto raro che qualcuno ti venga a dire che non puoi fare questa o quella cosa, ma se la fai ti accorgi subito di avere sbagliato. Vivere in comunità è estremamente rassicurante e un po' inquietante al tempo stesso. Giorno dopo giorno devi trovare il tuo ritmo e il tuo ruolo e devi crearti dei piccoli spazi fuori dalle righe se non vuoi correre il rischio di diventare un buon soldatino. 

 Nel bosco

Ovviamente se tante decine di persone vengono qui ogni estate e se tante tornano, anno dopo anno, da decenni, è per avere il privilegio di lavorare con Peter Schumann. Io quel privilegio ho avuto la fortuna di averlo per la prima volta a diciannove anni ed è una cosa che mi ha formato e mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Vedere il mio vecchio maestro ormai quasi ottantenne, ma sempre attivo e vulcanico come più di quarant'anni fa, e partecipare ancora un po' al suo lavoro è come tornare a una sorgente alla quale mi sono avidamente abbeverato in gioventù e che ancora oggi mi disseta.
È bello essere qui, è forte, è intenso.
E adesso vado a fumarmi una sigaretta asdraiato sull'erba, sperando di veder passare un airone.