giovedì 28 febbraio 2013

Democrazia?

Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del buon governo (dettaglio)

Come ebbe a dire molti anni fa un politico francese, “la maggioranza ha sempre ragione, ma la ragione ha raramente la maggioranza”. E faremmo bene a meditare su questo aforisma.
Chi ha trionfato a queste nostre ultime elezioni è evidentemente il “non-partito” M5s, attraverso l'abile logorrea del suo portaparola Beppe Grillo. Ragione? Non ragione? “Ai posteri l'ardua sentenza”, come scriveva il pallosissimo Manzoni.
Sta di fatto che adesso Parlamento e Senato devono fare i conti con il programma del “non partito” cha basa il suo funzionamento su un “non Statuto”.
A fine aprile dell'anno scorso Grillo dichiarò a Palermo, parlando dei partiti politici: “La Mafia non ha mai strangolato il proprio cliente. La Mafia prende il pizzo, 10%. Qui siamo nella Mafia che ha preso un'altra dimensione, strangola la propria vittima” (video su http://www.youtube.com/watch?v=D4Wa1uua3Bk).
Quel che capisco da questa allucinante dichiarazione è che i politici sono peggio della Mafia, che “non ha mai strangolato il suo cliente”. Il che da senso a quel “tutti a casa” ripetuto mille volte dallo stesso Grillo durante la campagna elettorale. Ma cosa succederebbe se i politici fossero davvero mandati tutti a casa?
Quello che traspare dal programma del M5s è che sarebbe il popolo a prendere il potere, attraverso l'utilizzo di internet. Tutte le nuove leggi dovrebbero essere rese pubblicche “on line almeno tre mesi prima delle loro approvazione (sic) per ricevere i commenti dei cittadini(vedi programma M5s). Parlamentari e senatori ci sarebbero sempre, immagino, però sarebbe bene che fossero come quelli che propone il M5S, ovvero delle persone “non condannate”, che avessero prima superato un esame sulla Costituzione, che potessero essere eletti solo due volte, che non godessero di privilegi particolari e che non esercitassero nessun'altra professione o carica durante il loro mandato.
Siccome gli utenti di internet in Italia sono circa 30 milioni e gli aventi diritto al voto circa 50 milioni, non si capisce bene se i 20 milioni restanti dovrebbero essere obbligati per legge a usare internet, o se li si dovesse semplicemente trascurare come un'entità priva d'importanza. Aggiungo che dai 30 milioni di utenti bisognerrebbe sottrarre tutti i numerosissimi bambini e adolescenti troppo giovani per votare. Come evitare poi che molti si prendessero la briga di crearsi numerose false identità su internet è un altro quesito senza risposta.
I parlamentari e i senatori diventerebbero comunque dei ragionieri che si limiterebbero a contare le opinioni positive da una parte e le negative dall'altra prima di votare a favore o contro una proposta di legge.
E io che credevo che la parola democrazia fosse composta da δῆμος (popolo) e κράτος (potere), e che volesse dire potere del popolo! Che babbeo retrogado! Non avevo capito che la vera democrazia è internet. Peccato che se le cose fossero state così una trentina d'anni fa la Francia non avrebbe soppresso la pena di morte, che oggi i rom andrebbero cacciati dall'Italia (68% favorevoli, sondaggio Ipr Marketing, maggio 2008), che i gay continuerebbero a non potersi sposare (43,9 contro, sondaggio Istat, maggio 2012) e che tanto meno le coppie gay avrebbero diritto di adottare un bambino (80% contrari).
Credere alla saggezza delle decisioni che un popolo intero potrebbere prendere su qualsiasi argomento in qualsiasi momento è come credere che un nuovo Harry Potter possa nascere da un incrocio tra il Mago Zurlì e la Fata turchina.
Quello che come cittadino ho diritto di aspettarmi da parlamentari e senatori non è che facciano sempre ciò che vuole la maggioranza della gente, ma che, quando lo ritengono necessario, si prendano la responsabilità di decisioni impopolari. Se poi quelle decisioni dovessero rivelarsi nefaste sarà mio diritto votare per qualcun altro alle elezioni seguenti. È questa la democrazia: ti affido un compito e se tu non lo svolgi bene lo affido a qualcun altro.
Se ti affido un compito è per due motivi altrettanto importanti: il primo è che credo tu lo possa svolgere meglio di me; il secondo è che penso ci siano molti casi nei quali il bene comune dovrà passare davanti al mio bene particolare, cosa che tu potrai valutare meglio di me.
Questo è il senso della democrazia, che non può funzionare se non si accorda a chi si elegge un diritto all'errore.
Se ti eleggo deputato o senatore ho il diritto di aspettarmi da te un comportamento responsabile nelle decisioni che prenderai. Se quel comportamento non ce l'avrai non voterò più per te. Ma non sarò mai così stupido da confondere la necessaria meccanica della democrazia, pur con i suoi difetti, con un tuo comportamento sbagliato. Se lo facessi rischierei, come dicono i francesi, di buttare via il bebé con l'acqua del bagno.
Grillo, cacchio!, svegliati. Internet non vuol dire libertà, vuol dire demagogia; vuol dire dare a tutti la possibilità di esprimersi sotto l'emozione del momento; vuol dire rinunciare alla ragione.
Vuoi ridurre i privilegi dei politici? D'accordo. Vuoi escludere dal Parlamento i condannati? D'accordo (se però mi spieghi condannati a che cosa e da quale grado di giudizio). Vuoi che nessuno possa essere contemporaneamente deputato e sindaco magari di un paesino di 3.000 abitanti? Già meno d'accordo. Ma non venirmi a parlare di internet. Usalo, se vuoi, usalo quanto vuoi. Ma non venirmi a raccontare che internet garantirebbe più democrazia, perché quella è una panzana grossa come tutto il porto di Genova.
Nessuno, e soprattutto non internet può obbligare la gente a diventare più intelligente di quello che è. Ci sono solo individui e gruppi che possono convincere la maggioranza della gente a votare per loro. Tu sei uno di questi, e ti sei rivelato anche molto bravo, molto abile, molto convincente.
Ma, Grillo, non venirmi a dire che la politica è peggio della Mafia e che la Mafia “non ha mai strangolato il proprio cliente, perché quelle sono parole infami che lasciano pensare che dietro tutta quell'abilità e quella bravura ci sia solo un invasato tribuno.
A proposito, guarda che si dice stràngola, non strangóla.

mercoledì 27 febbraio 2013

Per un'amica americana

Un'amica americana mi fa sapere via Facebook che usa i miei post nella sua classe di italiano. Ne sono lusingato e incomincio quindi subito cercando di rendermi utile con un appunto grammaticale: quando si scrive in italiano non si mette la s finale che indica il plurale alle parole straniere, quindi si scrive post anche se si vuole dire posts. Inoltre non si usa il corsivo quando la parola straniera è entrata a far parte del vocabolario italiano. Si scriverà quindi computer e marketing, parole inglesi ormai di uso comune anche da noi, ma decision maker e new entry, espressioni spesso usate per puro snobismo.
L'amica in questione mi chiede di scrivere qualcosa sulle elezioni. Ahimé, amica mia, non so proprio da dove incominciare. Ma ci proverò lo stesso.
Intanto una cosa: l'attuale legge elettorale italiana viene chiamata correntemente “porcellum”, che è una parola che non esiste. È un latinismo, cioè una finta parola latina (anche questo viene considerato molto snob) che viene dall'italiano “porcello”, ovvero young pig. Il ministro che fece votare questa legge nel 2005 la definì lui stesso una “porcata”, traducibile forse con dirty trick, o low blow, il che la dice lunga sulla nobiltà d'animo e l'elevazione morale di certi nostri ministri.
Devi sapere che c'è molta differenza tra Stati Uniti e Italia (e non solo perché noi mangiamo molto meglio di voi :-)). Voi statunitensi, con tutte le vostre differenze, tendete comunque sempre ad essere fieri di essere americani. Da noi è diverso: qui va molto di moda pensare che si sta meglio all'estero, che “gli altri” sono migliori e che l'Italia è una banana republic. L'autolesionismo (self-injury, o self-destruction) è uno sport nazionale. E queste ultime elezioni ne sono ancora una volta una prova eclatante.
Per esempio: come spiegarti che un miliardario libidinoso, gretto (narrow-minded), maschilista e condannato a quattro anni per evasione fiscale abbia ancora ottenuto tanti suffragi? Ve lo immaginate voi un Donald Trump alla testa di un partito che raccoglierebbe il 29% dei voti? Impossibile! Non da noi.
Dovete sapere anche qui da noi la gente si informa molto più attraverso la televisione che attraverso i giornali e che noi guardiamo tantissimo la televisione. Anni fa, quando il Presidente del Consiglio era Bettino Craxi (uno che finì la sua vita da latitante, cioè fugitive, in Tunisia), Silvio Berlusconi, approfittando di un vuoto nella legge, si creò un impero mediatico il cui apice è costituito da tre canali televisivi molto seguiti; Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Questi canali, che propongono fondamentalmente trash TV, hanno anche dei telegiornali al servizio del loro padrone, Silvio Berlusconi. In questo senso l'Italia può essere considerata come un Paese all'avanguardia (Paese si scrive con la maiuscola per distinguerlo da paese con la minuscola, che vuol dire village), perché è stata governata per ben 17 anni dall'uomo più ricco del Paese, che di fatto controllava l'essenziale dell'informazione, sia attraverso le sue televisioni private e i suoi giornali, che attraverso i giornalisti che poteva mettere a capo della televisione pubblica.È una specie di trionfo del capitalismo.
Ma come mai, mi direte voi, non è stata fatta nessuna legge che impedisse una tale concentrazione di potere mediatico, inimmaginabile in qualsiasi altro Paese democratico? Perché negli anni nei quali la sinistra era al potere è stata una pappamolle (lazybones, slacker), incapace di prendere decisioni. Ma andiamo avanti.
Il fatto principale di queste elezioni è stato il trionfo del Movimento 5 stelle, gruppo che si definisce come “non-partito” e che ha raccolto il 25,5% dei suffragi. Se è vero che alcuni aspetti di questo non-partito possono ricordare Occupy Wall street, è altrettanto vero che molti di quelli che l'hanno votato l'hanno fatto per esprimere un generico voto di protesta contro “la casta”, ovvero i politici di professione. Per esempio: voi che siete circa 315 milioni avete 441 deputati e 100 senatori; noi, che siamo 61 milioni, abbiamo 630 deputati e 322 senatori. La nostra rappresentazione popolare è numericamente quasi il doppio della vostra, mentre la nostra popolazione è un quinto della vostra. È un po' come se voi aveste 3150 representatives e 1610 senatori. Un incubo! Ve lo immaginate lo sperpero (dissipation, splash) di denaro pubblico? 
Non solo, ma i nostri parlamentari, oltre a ricevere i compensi più alti d'Europa, godono di tutta una serie di privilegi che vanno da una pensione che entra in vigore anche solo dopo pochi giorni di presenza in Parlamento a tassi di prestito privilegiati e inferiori a quelli degli altri comuni mortali. Nel nostro palazzo del Parlamento c'è un parrucchiere gratuito, una sauna gratuita, un servizio medico gratuito; i parlamenti viaggiano gratis e sempre, anche se vanno in vacanza, su tutto il territorio nazionale, sia in treno che in aereo che in nave e non pagano nemmeno i pedaggi autostradali (highway tolls); ogni anno il nostro Parlamento spende 1.3000.000$ per offrire a ogni parlamentare 50 agende (daybooks) rilegate in cuoio con il logo della Camera; al ristorante della Camera un piatto di pasta costa 2$ e una bistecca di manzo 3,5$; la mutua dei parlamentari prevede rimborsi medici maggiori per i deputati e le loro famiglie; 5 anni di presenza in Parlamento assicurano poi una pensione annuale di circa 94.000$; ma la lista sarebbe molto lunga. Aggiungerò solo un'ultima cosa: quando alcuni deputati furono fotografati mentre giocavano a videogiochi sui loro IPad durante una seduta del Parlamento, fu presa una decisione importante: la preidenza della Camera vietò... le foto.
Davanti a questa situazione è naturale che ci sia una generale diffidenza verso i politici. Diffidenza rinforzata dalla situazione di quegli altri politici, regionali, che in questi ultimi anni hanno approfittato ancora di più dei loro privilegi. Così, per esempio, il Presidente della regione Sardegna (1.700.000 abitanti, cioè la metà di quelli del Connecticut) riceve uno stipendio annuale di circa 230.000$, cioè più della metà di quello del Presidente degli Stati Uniti.
L'Italia è un vecchio Paese, dalla storia plurimillenaria. Ma è una democrazia giovane, molto più giovane della vostra. Per secoli gli italiani sono stati separati in piccoli Stati governati da potenze straniere o dal Papa. È normale che quei secoli abbiano creato una grande diffidenza verso ogni forma di potere, anche se è molto meno normale che i politici di oggi siano tanto corrotti e incapaci.
Ma devo sottolineare anche un'altro aspetto importante del porcellum. Quando voi andate a votare sapete per chi votate e ognuno di voi ha poi il “suo” rappresentante e il “suo” senatore a cui potete mandare delle mail e magari telefonare. Da noi no: da noi si è votato per delle liste fatte dai partiti. Prendi il Senato, per esempio: il primo nome su tutte le liste del Popolo della Libertà, quello di Berlusconi, da Milano a Roma e da Venezia a Firenze, era lo stesso: Silvio Berlusconi. È un po' come se da voi uno stesso candidato senatore si potesse presentare davanti agli elettori dell'Alabama e contemporaneamente davanti a quelli del Maine. Capisci perché è difficile spiegarvi come stanno le cose?
Detto questo, la situazione nella quale ci troviamo ora è molto confusa. Se la sinistra ha una piccolissima maggioranza alla Camera, al Senato non ce l'ha nessuno e tutti pensiamo che dovremo tornare a nuove elezioni entro qualche mese, un anno al massimo. Senonché nessuno può garantire che delle nuove elezioni potranno far venir fuori una maggioranza chiara.
Sì, l'Italia è un Paese complicato, che ama gli intrighi, gli inciuci (scams) e i complotti. Un Paese per molti aspetti meraviglioso, ma politicamente maturo come un bambino di quattro anni. Un Paese dove l'evasione fiscale è la regola, la corruzione una realtà quotidiana e la criminalità organizzata (Mafia, Camorra, 'Ndrangheta) un cancro. Un Paese dove "fare il furbo", cioè cercare di fregare gli altri, è un passatempo nazionale.Un Paese che spesso quelli che ci governano definiscono ingovernabile semplicemente perché non sono capaci di fare leggi (in particolare una legge elettorale) che lo renderebbero governabile.
Magari la prossima volta scriverò un altro post specialmente per te, raccondandoti tutto il male che penso di molti aspetti degli Stati Uniti, per assicurarmi che tu non finisca col pensare che preferirei vivere nel tuo paese piuttosto che nel mio. Sarà che abito in Toscana, in un appartamento dove la gente di qui dice abbia dormito Leonardo da Vinci, e se alzo gli occhi dal mio computer ho davanti a me una torre in pietra del XIV secolo... Ma per oggi basta così.
The tower outside my window

domenica 24 febbraio 2013

Approssimazioni




Titolo dell'Huffington Post italiano: Elezioni 2013: il NYTimes si interroga sul ritorno di Silvio Berlusconi La Mummia, L'opera della politica italiana è fonte di eterna sorpresa”.
L'articolo incomincia così: “La mummia è tornata ed è ancora peggio che in passato".
Clicco sul link e vado a leggermi l'articolo del New York Times. Scopro allora che il giornalista, Franck Bruni, non dice affatto “La mummia è tornata”. Quel che dice è: “Il ritorno della mummia è stato il titolo di prima pagina di un importante giornale francese che si riferiva a un film del 2001 e insinuava, forse, che i numerosi interventi cosmetici di Berlusconi avessero incluso l'imbalsamazione. Un importante giornale tedesco si lamentava del Ritorno del non morto (The return of the Undead)”.
Effettivamente nel dicembre scorso, quando Berlusconi annunciò il suo ritorno, Libération pubblicò il titolo cubitale Il ritorno della mummia.

Mi direte che sono dettagli e che comunque qualcuno quel titolo l'ha scritto. Sì, qualcuno, ma non il New York Times.
Perché questo tipo di approssimazione? Ovviamente il NYT è molto più prestigioso di Libération e una sua citazione ci colpisce più di quanto non lo faccia una del quotidiano francese, dà più peso a ciò che leggiamo, lo densifica, perché ci appare subito come una presa di posizione del più importante organo di stampa americano, da sempre legato all'ala più riformista del Partito Democratico.
Mi chiedo allora se l'informazione data dall'Huffington Post possa definirsi falsa, e credo proprio di sì. Falsa come le frequentissime virgolettature negli articoli di Repubblica (partner dell'edizione italiana dell'Huffington Post) firmati Francesco Bei, giornalista che ormai non leggo più. Virgolettature tipo “chiuso nel suo studio di Arcore con i più fedeli collaboratori, Berlusconi ha detto “......”. Ma come fa Bei a sapere, parola per parola, cos'ha detto qualcuno dentro uno studio di Arcore? Ci aveva messo un microfono?
Queste false citazioni non le sopporto proprio. Le vedo non solo come insopportabili approssimazioni, ma come vere e proprie menzogne, e mi arrabbio ancora di più se sono d'accordo sul fondo generale dell'articolo.
Non credo nell'esistenza di una verità assoluta che il singolo giornalista potrebbe offrirmi ogni mattina; ma credo che uno sforzo rigoroso verso la ricerca di quella verità dovrebbero essere alla base del lavoro giornalistico. Altrimenti perché non limitarsi a leggere gli editoriali di Sallusti deducendo semplicemente che la verità è vicina al contrario di quanto si legge?
Scrivere di politica ci fa inevitabilmente cadere in errori, che si tratti della pagina di un blog come questo o di un articolo su un quotidiano prestigioso. Questa consapevolezza mi spinge sempre, nella misura delle mie modeste possibilità, a verificare le eventuali informazioni che do. Eppure errori ne ho fatti e ne farò. Spesso, non riuscendo ad andare in fondo a una verifica, non scrivo. E comunque non mi verrebbe mai in mente di virgolettare frasi che non ho sentito con le mie orecchie, o di citare qualcun altro senza dare la fonte dell'informazione.
Non per questo mi prendo per un giornalista, ovviamente. Ma mi chiedo: se quel piccolo sforzo lo faccio io, semplice blogger, che non ho nessuna credibilità professionale da difendere, perché tanti giornalisti non lo fanno? E perché i loro redattori accettano di pubblicare notizie tanto spudoratamente tendenziose e inverificabili?
No, lo so che la risposta è ovvia. Era solo un modo di dire...
Però mi arrabbio lo stesso.


venerdì 22 febbraio 2013

Ho voglia!


Ormai ci siamo. Per fortuna domenica sarò via. Ma lunedì mattina non avrò scuse. Dovrò andare a votare.
Inutile negarlo: faccio parte dell'orrido gruppo degli indecisi. Sì, lo so, non dovrei dirlo, dovrei nascondermi sotto il letto, fare finta di niente, mettere a palla Lucy in the sky with diamonds nello stereo e aspettare che il brutto momento passi. Ma, come diceva Dante, o Andrea, quello del bar, non so più bene..., 'un ce la fo.
Noooo! Ecco che mi torna in mente l'altro Fo, quello con la F maiuscola, quello del Nobel, quello che è salito sul palco di quello là, come si chiama?, Grillesconi o Berlulillo?, il Messia che promette tutto perché lui ha capito tutto.
Ma se penso agli altri non sto meglio. C'è l'emiliano, che però ahimé non ha niente di Zapata; c'è il cattolico divorziato che ci fa quasi rimpiangere la DC; c'è l'ex-professore diventato senatore che poi si è perso nei meandri del politichese più ordinario; c'è il sonnolento palermitano tornato dal Guatemala nella vana speranza di rendersi indispensabile; c'è il barese con l'orecchino che, ci scommetto, non potrebbe poi far altro che trasformarsi in novello Bertinotti e mandare tutti a casa; c'è il tastierista di Varese che vuole fare il moderno alla testa di una masnada di trogloditi; c'è il lessicocreativo del Molise che è credibile come la Fata Turchina; e naturalmente c'è Lui, di cui non vale nemmeno la pena parlare, per non sporcarsi la bocca.
Sì lo so, ce ne sono anche altri. La biondazza e il barbuto sono i primi due che mi vengono in mente, ma la lista sarebbe lunga.
Datemi qualcuno da votareee! Non voglio uno o una che voterei per non votare qualcun altro, voglio qualcuno da votare per davvero, cacchio!
Soru, perché non ci sei? Mi sento solo!
Voglio ringiovanire! Voglio ritrovarmi indietro di quarant'anni, quando leggevo Kropotkin e Buckminster Fuller ascoltando i Soft Machine!
Voglio qualcuno che mi faccia sognare, anche solo per un momento, anche solo per sbaglio, anche se poi mi fregherà. Non importa se poi mi fregherà, ma un attimo di speranza qualcuno me lo può dare? Per piacere... Ne ho bisogno.
Non so per chi votare e se guardo la televisione non capisco mai quali sono i programmi di varietà e quali le trasmissione politiche; se leggo i giornali non riesco a fare la differenza tra le pagine di cronaca e quelle di politica; se ascolto la radio non sento nient'altro che comici tristi e giornalisti-rane che si prendono per buoi.
Voglio un Pertini. Possibile che non ce ne siano più? Voglio uno che rompa davvero le scatole a chi me le rompe quotidianamente. Non voglio uno specialista in alleanze, patti, garbugli e inciuci. Voglio uno con il quale me la sentirei di passare una serata a farmi spiegare delle cose.
Non voglio un santo, non voglio un predicatore, non voglio uno che mi parla solo di mercati e di PIL, non voglio uno bravo a farsi votare, voglio uno che mi dia voglia di votarlo. Non voglio essere un indeciso!
Ho voglia. Ho tanta voglia. Ma proprio tanta. Guarda, non è neanche voglia di cambiamento in sé. È voglia di dignità. Voglia di dirmi che quello lì che una volta alla settimana si siede per presiedere una riunione a palazzo Chigi è uno bravo, uno che fa quello che fa perché ci crede, e lo fa bene, senza farmi vergognare di lui. Non importa se la pensiamo in modo divesrso. Non importa nemmeno tanto se quello che fa non mi convince.Basta che lo faccia bene e con dignità.
Monti, perché sei salito in politica? Non hai capito che stavi riuscendo a cambiare qualcosa? No, non l'hai capito, perché non hai capito la cosa più importante: che la crisi, prima di essere economica è cul-tu-ra-le. Lo so che non avevi una maggioranza e che ti ritrovavi sempre nell'obbligo di dare una botta al cerchio e una alla botte. Ma come hai fatto a non capire che la cosa più importante non era quella? Come hai fatto a farti filmare col cagnolino? Ma lo sai che ero pronto a essere contento di averti come Presidente della Repubblica? E invece no, eccoti lì, con gli altri, impantanato, con la stessa melma sotto le scarpe.
Forse lunedì mattina andrò a Montalcino a comprarmi un po' di Brunello. O magari a Roma a vedere la mostra dei Brueghel. Oppure mi metterò il DVD con tutta la prima stagione di Bones.
No, lo so che non lo farò. So già che finirò con l'andare in quella triste aula di scuola vicino a casa per mettere una crocetta su un simbolo colorato. Ma non so quale. E mi viene da piangere.

martedì 12 febbraio 2013

Di un altro Benedetto

Bendetto IX
Il papa va in pensione. E sulla stampa si segnalano precedenti, tra i quali il più conosciuto è ovviamente quello di Celestino V, che si dimise il 13 novembre 1294 con una bolla che diceva:
Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale”.
Il riferimento alla malignità della plebe è ovviamente una chicca.
Gli altri papi dimissionari sono stati Clemente I (le cui dimissioni paiono però storicamente dubbie), Ponziano, senza numero, che finì esule in Sardegna, Benedetto IX, Silverio, anche lui senza numero, e Gregorio XII.
Il caso più divertente fu senza dubbio quello di Benedetto IX, che fu papa... tre volte: dal 1033 al 1045, per qualche mese ancora nel 1045 e infine dal 1047 al 1048.
Secondo alcuni fu fatto papa la prima volta a undici o dodici anni, secondo altri a ventuno. Era comunque uno precoce, oppure molto raccomandato. Il 13 gennaio 1045 fu cacciato da Roma e sostituito da Silvestro III. Poi però Benedetto, che aveva continuato a pretendersi papa, scomunicò Silvestro, lo fece cacciare e tornò a Roma in marzo. A questo punto Silvestro, al secolo Giovanni de' Crescenzi Ottaviani, se ne andò e si vide pure condannato come antipapa.
Benedetto era lì tranquillo, più papa che mai, ma gli venne voglia di sposarsi con la figlia di Gerardo di Galeria, figlio di Rinerio, Conte di Sabina, che era uno di quelli che avevano complottato per mettere Silvestro al suo posto. Senza esitare, diede le sue dimissioni. Siccome però non era stupido, prima di andarsene vendette il suo titolo di papa al suo padrino, Giovanni de' Graziani, per la modica somma di 650 chili d'oro. Così Giovanni diventò Gregorio VI.
Senonché venne fuori che Gerardo di Galeria aveva promesso sua figlia a Benedetto solo per sbarazzersene (di Benedetto, non della figlia; oppure di tutti e due, non si sa). E all'ex nonché futuro Benedetto IX girarono talmente i santissimissimi (quelli del papa sono così) che si mise a voler riprendere il papato. Il che, ovviamente, suscitò tutto un ambaradan che andò avanti per vari mesi, talmente che a un certo punto c'erano a Roma ben tre papi: Gregorio VI, Benedetto IX e Silvestro III. Lo so, le cose cominciano ad essere un po' complicate, ma non preoccuparti, questo post non è molto lungo.
Enrico III, Sacro Romano Imperatore che, come tutti sappiamo, era figlio di Corrado II e di Gisella di Svezia, davanti a tutto questo popò di casino, disse “'un se ne po' più” (lo disse in tedesco, ma il senso era quello). Partì per Roma e decise di nominare papa tale Sutigero, vescovo di Bamberga, in Baviera, che diventò così Clemente II il giorno di Natale del 1046. Lo stesso giorno Clemente incoronò Enrico imperatore in pompa magna, attribuendogli anche il diritto di continuare a scegliere il papa in futuro.
Senonché, Clemente morì nell'ottobre 1047, pare avvelenato da Benedetto, che immediatamente rioccupò il palazzo del Laterano dicendo a tutti che il papa era lui, anche se era già stato cacciato via una volta e aveva dato le dimissioni un'altra.
A questo punto c'erano: 1) un papa in funzione per la terza volta, Benedetto IX; 2) un papa morto, Clemente II; 3) un papa cacciato, Gregorio VI; 4) un altro papa cacciato, Silvestro III. La situazione si faceva confusa.
Finalmente nel 1048 Benedetto fu definitivamente preso a pedate nel suo augusto deretano da Bonifacio Conte di Toscana su ordine del solito Enrico III. Per la cronaca, è così che tale Poppone di Bressanone, che già era stato nominato papa un anno prima da Enrico, ma che non aveva potuto esercitare il suo pontificato per via di Benedetto, potè finalmente usufruire del corrispondente medievale della papamobile col nome di Damaso II. Che, ne converremo tutti, è un bel nome. 
E dopo questo brillante momento di storia papale vado a farmi un buon caffé.

sabato 9 febbraio 2013

Diciannove anni dopo


1994:
Silvio Berlusconi diventa presidente del consiglio per la prima volta.
Il presidente degli Stati Uniti è Bill Clinton.
Il presidente russo è Boris Eltsin.
Il presidente irakeno è Saddam Hussein.
Il premier inglese è John Major .
Il presidente francese è François Mitterrand.
Il presidente sudafricano è Nelson Mandela.
Il segretario generale delle Nazioni Unite è Koffi Annan.
Il presidente della Commissione Europea è Jacques Delors.
Il presidente italiano è Oscar Luigi Scalfaro.
Sarajevo è assediata dai serbi.
Il festival di Sanremo è vinto da Aleardo Baldi con Passerà. 
Il grido di Munch viene rubato a Oslo.
Le Olimpiadi invernali si svolgono a Lillehammer.
Michael Schumacher è campione del mondo di Formula 1 per la prima volta.
Ayrton Senna muore in un incidente.
In Ruanda inizia il genocidio dei Tutsi.
Miguel Indurain vince il Tour de France.
Evgenji Berzin vince il Giro d'Italia. 
Il giudizio universale di Michelangelo è nuovamente visibile dopo un lungo restauro.
Kurt Cobain si suicida.
Marcello Mastroianni interpreta La vera vita di Antonio H.
Giulio Andreotti è indagato per collusione con la mafia.
O.J. Simson è arrestato.
Andrés Escobar è ucciso a Medellin.
Il Brasile batte l'Italia nella finale della coppa del mondo di calcio.
George Foreman è campione mondiale dei pesi massimi.
Gian Luigi Rondi è presidente della Biennale di Venezia.
L'Austria, la Svezia e la Finlandia entrano nell'Unione Europea.
Umberto Eco pubblica L'isola del giorno prima. 
Le prime truppe russe entrano in Cecenia.
Pier Luigi Bersani viene eletto al parlamento europeo.
Mia Martini incide Hotel Supramonte.
Tommy Lee Jones riceve il Golden Globe per Il fuggitivo.
Esce la prima versione di Netscape.
Bettino Craxi scappa in Tunisia.
La DC diventa Partito Popolare Italiano.
Massimo Troisi interpreta Il postino, poi muore.
La Apple abbandona il sistema PowerPC.
Jean-Louis Barrault muore.
Francesco Rutelli è sindaco di Roma.
Claudia Schiffer è la top-model più pagata del mondo.
Indro Montanelli lascia Il Giornale.
Andrew Miles dimostra l'ultimo teorema di Fermat.
I componenti della banda della Uno bianca vengono identificati.
Frank Sinatra dà il suo ultimo concerto. 
Schindler's list vince l'Oscar come migliore film.

2013:
Diciannove anni dopo, Silvio Berlusconi è sempre lì a raccontare barzellette e noi siamo sempre qui a chiederci come sia possibile.
Che ci sia sfuggito qualcosa?

mercoledì 6 febbraio 2013

Dell'estero

L'estero

Ho sempre detestato la parola “estero”. Me la ricordo come una litania nella mia infanzia e adolescenza: “all'estero non è così”, “si sta meglio all'estero”, “all'estero lo sanno”. Come se noi italiani fossimo sempre stati un angolo di ignoranza e sottosviluppo in un mondo ben più colto, intelligente, raffinato e “moderno” (altra parola che detesto).
Questa mattina è un articolo sulla prima pagina di Repubblica che mi ha irritato. L'articolo incomincia così:
Non è vero che il mondo è piccolo, non sempre. Non per i gay. Negli stessi giorni, nello stesso mondo, accadono cose opposte e lontanissime. E stanno accadendo tutte insieme. Tranne che in Italia, dove pure è in corso una campagna elettorale dove di tanto si parla, e si sparla, meno che di diritti civili, messi ai margini del dibattito per evitare, specie a sinistra, crepe nelle coalizioni”.
Ma è proprio vero che nel mondo stanno “accadendo tutte insieme” cose tanto meravigliose?
Ho cliccato world gay rights, mi si è aperta una pagina Wikipedia intitolata LGTB rights by country or territory, e ho fatto qualche conto.
La pagina prende in considerazione 239 paesi o territori, intendendo per territori posti come l'Isola di Ascensione (britannica), le Samoa Americane (statunitensi) , o Saint-Pierre e Miquelon (francese), che, pur dipendendo da un paese lontano dispongono di una serie di leggi puramente locali.
Ora, su questi 239 paesi o territori, ce ne sono 80 nei quali ogni forma di omosessualità è semplicemente illegale e 189 che non accordano alcun diritto alle coppie omosessuali.
Limitandoci all'Europa, su 52 paesi o territori (come l'Isola di Man, la Groenlandia, o Gibilterra), mentre solo Cipro Nord considera illegale l'omosessualità maschile (non la femminile), 32 non accordano alcun diritto alle coppie omosessuali.
Quindi, visto che su 239 paesi o territori del mondo solo 50 riconoscono dei diritti alle coppie omosessuali, mi spieghi dove stiano “accadendo tutte insieme” quel popò di cose di cui il giornalista di Repubblica ci parla?
La realtà, ahimé (e sottolineo ahimé) è ben diversa: In Uganda si parla di pena di morte per gli omosessuali; in Russia è appena stata passata una legge ancora più restrittiva delle precedenti; nel Sudan, in Mauritania, in Nigeria, in Somalia, in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, nello Yemen e in Iran la pena di morte è tuttora in vigore.
Non mi fraintendere: questo post non parla di omosessualità. Parla di quell'insopportabile provincialismo che tanto spesso ci porta a pensare che “all'estero” si stia meglio che da noi.
Quel provincialismo altro non è che una forma d'infantilismo, quel modo di pensare del bambino piccolo che vede sé stesso da una parte e il resto del mondo dall'altra, come due cose diverse, anzi come le sole due cose che esistano al mondo. È quel vittimismo così prettamente italiano che ci spinge a credere che altrove si stia meglio e che è una delle due facce di quella medaglia la cui altra faccia è il vizio francese o statunitense di pensare che altrove si stia peggio.
Fino a quando non accetteremo di essere unum inter pares, di avere altrettanti pregi e difetti di qualsiasi altro popolo del mondo, e magari di avere più pregi di qualche altro popolo e di averne meno di qualche altro, continueremo a starcene qui a piagnucolare sulla nostra sorte come bambini capricciosi e viziati, incapaci di diventare adulti. Ed è così che continueremo a permettere l'eterna clonazione di una classe politica che continuerà a far appello ai nostri istinti più che ai nostri ragionamenti, trattandoci per quel che siamo: degli irriducibili provinciali incapaci di guardare al di là del nostro ombelico senza lasciarci sopraffare da sentimenti d'inferiorità.

sabato 2 febbraio 2013

La fabbrica del consenso

Noam Chomsky

Noam Chomsky n'on è soltanto il padre della grammatica generativo-trasformazionale (una robina di cui troverete notizie qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Trasformazionalismo), né unicamente un illustre professore emeritus di linguistica all'MIT di Harvard con una sfilza di lauree honoris causa tale da ridicolizzare il numero di coppe e trofei vinti da Andrea Pirlo. Noam Chomsky è anche una figura di riferimento per quella sinistra americana che non si riconosce né in uno dei due grandi partiti ufficiali, né in una qualsiasi forma di comunismo. Lui stesso si definisce anarco-sindacalista, rivendicando una sua discendenza dall'illuminismo e dal socialismo libertario.
Un uomo a parte, insomma, fin da quando, negli anni '60, fu tra i primi ad opporsi alla guerra in Vietnam.
Nell'ambito dei suoi studi linguistici, Chomsky ha elaborato una specie di decalogo della “fabbrica del consenso”, ovvero dei metodi di controllo di ciò che una volta si chiamava genericamente “il sistema”, inteso come una specie di santa alleanza tra potere politico e potere finanziario.
Le “10 strategie di manipolazione attraverso i mass-media” sono facili da trovare su internet, in particolare su vari blog, ma in caso vi fossero sfuggite, eccole qui:


1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche attraverso la tecnica del diluvio o dell'inondazione di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionandola in temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza alcun tempo di riflessione”.

2- Creare problemi, poi offrire le soluzioni
Questo metodo è anche chiamato “problema-reazione-soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, e questo è il passo principale da far accettare. Ad esempio: si lascia dilagare o intensificare la violenza urbana, o si organizzano attacchi sanguinosi, con lo scopo che poi sia il pubblico a richiedere leggi sulla sicurezza, nonché politiche che vanno a detrimento della libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti civili e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3- La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile basta applicarla gradualmente, col contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantiscano redditi dignitosi, cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicate d'un colpo solo. 

4- La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, sul momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Primo, perché lo sforzo non è immediato. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e per accettarla con rassegnazione quando arriva il momento. 

5- Rivolgersi alla gente come a un bambino
La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa parole, argomenti, persone e intonazioni infantili, spesso vicini alla debolezza, come se lo spettatore fosse un bambino piccolo o un deficiente mentale. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se ti rivolgi a una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, per via della suggestione, lei stessa tenderà, con una certa probabilità, ad una risposta o reazione altrettanto priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” 

6- Usare l’aspetto emotivo più della riflessione
Sfruttare l'emozione è una tecnica classica per circuitare l'analisi razionale e, in ultima analisi, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette di aprire la porta d’accesso all’inconscio per seminare o trapiantare idee, desideri, paure, ansie e compulsioni, o indurre comportamenti. 

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che il baratro d’ignoranza pianificato tra le classi inferiori e le superiori sia e rimanga incolmabile dalle classi inferiori."


8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente verso la mediocrità
Spingere il pubblico a credere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti... 

9- Rafforzare l'autocolpevolezza
Lasciare che l'individuo biasimi se stesso per le sue sfortune, per i fallimenti della sua intelligenza, delle sue capacità, o dei suoi sforzi. In questo modo, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si autosvaluta e si colpevolizza, il che crea in lui uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione dell'azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono
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Negli ultimi cinsuant'anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle elites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha beneficiato di una conoscenza sofisticata dell'essere umano, sia nel campo fisico che in quello psicologico. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, il controllo e il potere esercitati dal sistema sugli individui sono maggiori di quelli che gli individui esercitano su sé stessi.

Non male, no? Leggendo e magari rileggendo ognuna delle dieci strategie vengono in mente tante di quelle cose...