domenica 31 luglio 2011

Di una maglietta

kit di personalizzazione magliette

Sono a Sassari. Dovendo comprarmi un costume da bagno, vado al negozio Decathlon. Costume, 5€. Very good.
Mi compro anche una maglietta, sempre a 5€. Porto la maglietta vicino all'ingresso, là dove c'è la macchinetta che mette le scritte sulle magliette.
Prima di me c'è una madre con bimba. Sulla maglietta nera, la bimba vuole farsi scrivere SARDINIA, in rosa. Cerco di non esprimere nessuna opinione, nemmeno con lo sguardo.
Agguanto un Post-it e ci scribacchio sopra la mia scritta. Mentre aspetto e mentre il primo commesso continua ad occuparsi della SARDINIA girl, arriva un secondo commesso. Gli faccio vedere il mio Post-it e la cosa sembra suscitare in lui perplessità e dubbi. Mi dice “ma verrà scritto piccolissimo”. Gli faccio notare che la mia scritta è su cinque righe. “Ah, cinque righe...”. Si volta verso il collega e gli chiede se “si può”.
Il collega, che si rivela essere il senior specialist delle scritte sulle magliette, dice “ohhh”, un po' come se gli fosse comparso davanti Darth Vador vestito da Spiderman. Poi si riprende rapidamente e, con aria estremamente professionale, dice “ma le costerà un bel po”.
Come, mi costerà un bel po'..., dico io, ma non sono 6€ a scritta?”.
Piccola precisione: nel bel mezzo del negozio c'è appesa una maglietta verdolina con su scritto TI AMO! / Mettete qui / la vostra scritta / 6€ (o qualcosa del genere).
Il commesso replica: “No, sono 6€ a riga”.
Ma sulla maglietta laggiù c'è scritto che la scritta costa 6€”.
Beh, non potevamo mettere che la riga costa 6€, sennò la gente magari pensava che sulle magliette mettevamo solo delle righe, invece che delle scritte”.
A questo punto un improvviso silenzio cala sul mondo, l'universo si ferma, attonito, e io vado in apnea. Poi l'arcangelo Grabiele suona il campanello di fine del time out e tutto torna normale.
Dico: “Scusa, dieci giorni fa ero nel vostro negozio di Colle di Val d'Elsa e mi sono fatto fare la maglietta che ho addosso. Come vedi, sono due righe, che ho pagato 6€, non 12”.
Eh, sarà stata una scelta loro...”.
Approfitto di questa nuova interruzione del funzionamento del cosmo per informarti, oh allibito lettore, del contenuto della scritta che portavo in quell'istante sul mio virile petto in caratteri verdi su fondo rosso scuretto: TUTTA COLPA / DEL '68.
Risquilla il campanello e non posso non esprimere un dubbio:
Come... Una scelta loro?...”
Beh, sì... E poi noi, sa, siamo specializzati in scritte sportive, mettiamo i nomi e i numeri sulle maglie”.
Ma, scusa, dico io continuando a dar del tu al giovincello approfittando vigliaccamente della mia barba grigia e della mia oscena calvizie, ma se sulla maglietta che esponete c'è scritto TI AMO! Non mi sembra una scritta molto sportiva...”
...” (I tre punti traducono un silenzio stupito del mio interlocutore).
E poi, scusa, lo incalzo spudoratamente, per un nome e un numero belli grossi su una maglia ci vogliono una quarantina di centimetri di quei rotoli colorati coi quali fate le scritte. Le mie cinque righe, nel loro insieme, saranno più piccole”.
"..." (In questo caso i tre punti traducono un momento di riflessione del senior specialist). Tornato in sé, riprende:
Sì, ma il materiale conta poco. Quello che conta sono le lettere come le O e le A dalle quali poi uno deve tirare via a mano le parti che vanno svuotate”.
Effettivamente (lo specifico per chi non avesse familiarità col delicato processo dell'incollamento di una scritta su una maglietta) le cose stanno così: lo specialista delle scritte compone la scritta su un computer; il computer è collegato a una stampante; nella stampante viene inserito un rotolo colorato; la stampante, invece di stampare, ritaglia le lettere, lasciandole però incollate su un supporto di plastica; lo specialista taglia il pezzo di rotolo stampato e deve poi, a mano, togliere le parti inutili, ovvero tutto ciò che sta intorno alle lettere, più gli interni delle O, A, P, R, ecc., prima di fissare la scritta così ripulita mediante un'incollatrice a caldo.
Ma allora il prezzo varia a seconda del numero di lettere da svuotare?”
“…” (In questo caso i tre punti traducono un apparente imbarazzo).
Ma allora, riprendo io, implacabile, una scritta di cinque righe tipo MELE O CILIEGE? / CILIEGE O MELE? / MELE! / MELE! / MELE!, che contiene solo due O, dovrebbe costare meno di una scritta di una sola riga tipo OOOOOOOOOOOOOH!”.
No, è che dipende se uno ha molto da fare... Non abbiamo sempre tempo per fare quel lavoro lì...”
Cioè, puntualizzo io sempre più lanciato, il prezzo varia a seconda dei giorni?”
Beh, è così”.
Beh, è così, giuro! 
Definitivamente sconfitto da questa logica imparabile, mi avvio a testa bassa verso lo scaffale dove avevo preso la maglietta e la ripongo silenziosamente al suo posto. Poi mi dirigo verso le casse per pagare il mio costume da bagno.
Tornato a casa, scrivo tutto questo a Decatlon.it. Tre giorni dopo sono sempre in attesa di una risposta.
Ah, dimenticavo: la scritta che volevo farmi incollare era: PAESI IMMAGINARI / l'Isola che non c'è / Lilliput / Oz / Padania.

P.S. Messaggio personale per una mia fedele lettrice: Silvia, avevo anche preso una canottiera per te. Mi spiace...

martedì 26 luglio 2011

"Spiegazioni" deliranti



La società aperta e multiraziale fa schifo”, dichiara l'esimio filosofo, sociologo, umanista, nonché deputato europeo Mario Borghezio.
L'ideologia del razzismo (…) è l’altra faccia della medaglia del multiculturalismo”, scriveva due giorni fa sul Giornale un altro grande pensatore, l'ex collaboratore del Manifesto, del Corriere della Sera e di Repubblica Magdi Cristiano Allam.
Il senso è chiaro: se Anders Breivik ha massacrato un centinaio di persone in Norvegia, la colpa è del multiculturalismo “che si fonda sulla tesi che per amare il prossimo si debba sposare la sua religione o le sue idee, mettendo sullo stesso piano tutte le religioni, culture, valori, immaginando che la civile convivenza possa realizzarsi senza un comune collante valoriale e identitario”, proseguiva l'ineffabile Allam.
Questo tipo di analisi mi ricorda quella, sentita mille volte, secondo la quale se ci sono donne stuprate è perché vanno in giro con le gonne troppo corte o le scollature troppo profonde. Certo, dicono questi grandi pensatori, una strage come quella di Oslo è orribile, però la causa prima è che in Norvegia ci sono troppi stranieri. Tanto che, come lo spiega stamattina sempre sul Giornale Fiamma Nirenstein, “in Norvegia nel 2047 la popolazione musulmana avrà pareggiato quella locale”. Non so da dove venga fuori questa previsione, ma tutte queste “spiegazioni” mi sembrano deliranti. A meno che non si voglia spiegare anche l'ascesa di Hitler al potere attraverso l'eccessivo potere degli ebrei in Germania negli anni tra le due guerre, il colpo di stato di Pinochet attraverso lo sciopero dei camionisti cileni e magari pure l'apartheid sudafricano attraverso la cronica mancanza di istruzione dei negri...
Siamo in pieno delirio, in un regime di pseudo-pompieri piromani.
Il multiculturalismo si fonderebbe sulla tesi che “per amare il prossimo si debba sposare la sua religione o le sue idee”. Ma chi l'ha detto, al di fuori dei detrattori del multiculturalismo? Non è piuttosto più giusta la definizione che della parola dà Wikipedia, quando parla della società multiculturale come quella in cui “più culture, anche molto differenti l'una dall'altra, convivono rispettandosi reciprocamente”?
Io non so se la cultura giudeo-cristiana sia “superiore” alle altre. So che le varie culture del mondo hanno ognuna una sua storia e una sua attualità, che alcune sono più giovani e altre più vecchie, che alcune accordano più importanza all'individuo e altre al gruppo, che tutte mutano col tempo attraverso il contatto con le altre e che il giudeo-cristianesimo è diventato quel che è diventato attraverso una storia fatta anche di soprusi, di massacri, di diprezzo e di atrocità di ogni genere. L'Occidente di oggi non è più quello di Sepulveda e dell'inquisizione, né quello di Pio IX, che appena 150 anni fa dichiarava che “la schiavitù in quanto tale, considerata nella sua natura fondamentale, non è del tutto contraria alla legge naturale e divina”. Confondere i deliranti e devianti appelli di molti imam alla guerra santa e al massacro degli infedeli con l'essenza della religione islamica, nonché trasformarli in dimostrazione dell'inferiorità e della pericolosità strutturale di un'altra religione, quando non si tratta addirittura di usarli se non come giustificazione, almeno come spiegazione di azioni come quella di Anders Breivik è semplicemente ignobile.

sabato 16 luglio 2011

Un odioso razzista

Emir Kusturica

" Ko ne voli Dabic Rašu, popušio kitu našu" (chi non ama Raso Dabic dovrà succhiarci l'uccello).
Questa delicata frase, urlata (più che cantata) durante un concerto all' Oslo World Music Festival, ha probabilmente bisogno di qualche precisione:
  • Raso Dabic è lo pseudonimo usato da Radovan Karadzic durante la sua latitanza
  • Radovan Karadzic è stato l'artefice della pulizia etnica in Bosnia ed è oggi sotto processo al tribunale internazionale dell'Aia per crimini contro l'umanità, violazioni della Convenzione di Ginevra e deportazione di popolazioni civili.
Un'altra frase, “Ne damo Kosovo” (“non avrete il Kosovo”), è stata altrettanto urlata nella stessa occasione. M da chi?, mi chiederai. Dalla No Smoking Orchestra, gruppo il cui chitarrista altri non è che Emir Kusturica (le due frasi sono perfettamente comprensibili sul video visibile su YouTube all'indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=be_EfUyLLCE).
Che Kusturica fosse un ignobile individuo già lo sapevo, ma siccome molti continuano a non saperlo mi permetto di ripeterlo ancora una volta.
Un piccolo ricordo personale: era una giornata di sole del gennaio 1995, ma a Sarajevo la gente diceva che “pioveva”. In realtà piovevano bombe e i cecchini serbi si divertivano a sparare ai passanti. Io ero lì per fare la regia di Ubu incatenato di Jarry. Era il mio quinto o sesto viaggio in Bosnia in poco più di un anno. Quel giorno era davvero impossibile andare in teatro, troppo pericoloso. Me ne restai a casa, nell'appartamento che spartivo con un'amica francese, responsabile dell'antenna locale di una ONG. Accesi la vecchia televisione in bianco e nero. Tra i vari canali visibili c'era naturalmente anche quello serbo. E lì, mentre fuori la gente rischiava di farsi ammazzare andando dal panettiere o tornando a casa dal lavoro, ecco apparire Emir Kusturica che accoglieva attori e registi a Belgrado per il festival internazionale del cinema.
Kusturica è nato a Sarajevo in un famiglia musulmana (come è chiaro dal suo nome), anche se lui preferisce dire che “Ok, magari siamo stati musulmani per duecentocinquant'anni,ma prima eravamo ortodossi e in fondo siamo sempre stati serbi”. A Sarajevo avevo conosciuto un suo cugino. Un giorno lo incontrai... e feci un'enorme gaffe. Lui faceva la coda in un cortile di fianco a un cinema e io gli chiesi sorridendo come mai ci fosse la coda per entrare al cinema dalla porta laterale. “Non è la coda per il cinema, mi rispose lui, è la coda per un piatto di minestra”. Tipica occasione nella quale uno si sparerebbe volontieri nelle palle...
Quaell'anno Kusturica ricevette la Palma d'oro al festival di Cannes per Underground. Jeanne Moreau lo salutò come “figlio di Sarajevo”. Sì, certo, figlio di Sarajevo lo era, ma figlio fuggito, figlio traditore, figlio rinnegato, figlio ignobile, cose che la Moreau sembrava ignorare. Ancora una quindicina di giorni e Kusturica venne a Marsiglia, dove vivevo, per presentare il suo film. Chiamai un'amica giornalista, che accettò di portarmi con lei alla conferenza stampa. Riuscii anche a fare un paio di domande, ma Kusturica si limitò a rispondermi che lui “non faceva politica, era un artista”, tipica risposta da coglione.
In realtà Underdog era fondamentalmente un chiarissimo quanto fetido pamphlet nel quale i Caschi blu delle Nazioni unite erano presentati come mercanti di bambini e tutti i personaggi negativi erano musulmani. Questo, è bene ricordarlo, nel momento in cui i serbi di Milosevic, Karadzic e Mladic massacravano nell'ignobile nome della “pulizia etnica” di hitleriana memoria quegli stessi musulmani che non avevano ancora deciso di convertirsi dopo duecentocinquant'anni. Peraltro la Palma d'oro al “figlio di Sarajevo” fu accolta con sgomento a Sarajevo, come si accoglie un insulto particolarmente odioso.
Detto tra parentesi ma non troppo, tra gli assediati e i morti di Sarajevo c'erano anche dei serbi e dei croati che avevano rifiutato di collaborare con Kardizc e compagnia.
Il caso Kusturica non è nemmeno comparabile a quelli di Céline o di Hamsun. Tanto il Viaggio al termine della notte del primo, quanto Il risveglio della Terra del secondo (premio Nobel), continuano giustamente ad essere considerati tra i migliori romanzi del ventesimo secolo nonostante Céline abbia poi scritto odiosi libretti antisemiti e Hamsun sia addirittura stato l'autore di un famoso necrologio di Hitler. Kusturica non è un grande artista che a latere si rivela poi essere un farabutto, è un artista farabutto. Il suo odio razzista verso i bosniaci e kosovari musulmani e il suo continuo inneggiare a quel fascismo serbo che ha valso ai suoi più ardenti difensori di essere incriminati dal tribunale dell'Aia è chiaramente visibile nei suoi film a tutti quelli che accettano di guardarli senza paraocchi. Kusturica è semplicemente un uomo spregevole che sa fare dei film e che li fa senza mai perdere l'occasione di darci chiari segni del suo profondo e odioso razzismo.

mercoledì 13 luglio 2011

Un po' d'inglese


Dear Dany (Cara Daniela),
I have known you have decided to learn George Clooney's tongue (ho saputo che hai deciso di imparare l'inglese). It was hour! (Era ora!) Not to speak Hillary Clinton's tongue and wanting to travel today is like going to mountain with Holland shoes. (Non parlare inglese e voler viaggiare oggi è come andare in montagna con gli zoccoli). As my Albion speaking is very good I have decided to help you with this letter. (Siccome il mio inglese è ottimo ho deciso di aiutarti con questa lettera.) As you see I write in original version with the subtitles. (Come vedi, scrivo in versione originale coi sottotitoli.) Subtitles, for way of speak, of course... (Sottotitoli per modo dire, naturalmente...)
It makes very hot in Benigniland. (Fa molto caldo in Toscana). The sweat drips under my armpits at Niagara falls. (Il sudore mi gocciola sotto le ascelle a cascate.) What skif. (Che schifo). I have the shirt englued on myself like a stamp. (Ho la camicia incollata addosso come un francobollo). But I do not lament myself. (Ma non mi lamento). Better warm than cold, says the philosopher. (Meglio caldo che freddo, dice il filosofo.) And on top of all better warm in vacation than cold at the work. (E soprattutto meglio caldo in vacanza che freddo al lavoro). I know it, sometimes I am very profound. (Lo so, certe volte sono molto profondo.)
Yesterday I was in Alemannoburgh and the air was non respirable. (Ieri ero a Roma e l'aria era irrespirabile.) I do not say that is fault of Alemanno, of course.) (Non dico che sia colpa di Alemanno, naturalmente.) I do not do politics. (Non faccio politica.) Above all of summer. (Soprattutto d'estate).
It makes so hot that when it comes the hour of eat I have not hunger. (Fa così caldo che quando arriva l'ora di pranzo non ho fame.) Possibly I will end with the slim. (Magari finirò col dimagrire.)
But stop to speak of the hot. (Ma basta parlare del caldo). Speak us of other. (Parliamo d'altro.) Of the bronzing for example, that is always one thing very important. (Dell'abbronzatura per esempio, che è sempre una cosa molto importante.) I bronze easy, but must not bronze tropp because the doctor me has discounseled. (Io abbronzo facile, ma non devo abbronzare troppo perché il dottore me l'ha sconsigliato.) I not me take off never the t-shirt and the result is that I seem one Contador. (Non mi tolgo mai la maglietta e il risuiltato è che sembro un ciclista.) White under, maroon out. (Bianco dentro, marrone fuori.) Like a Magnum, but at pieces. (Come un Magnum, ma a pezzi.) Sometimes I tell myself that I would like to make the nudist. (Certe volte mi dico che mi piacerebbe fare il nudista.) But after I think at the sun burning my pea and say myself that it goes good like this. (Ma poi penso al sole che mi brucia il pisello e mi dico che va bene così.) I do not understand the people who want to bronze at all the costs. (Non capisco la gente che vuole abbronzare a tutti i costi.) Then possibly they treat all those who have the natural dark skin at fish in face, but they are not satisfied until they not seem painted with poo-poo. (Magari poi trattano tutti quelli che hanno la pelle scura naturale a pesci in faccia, però non sono soddisfatti finché non sembrano dipinti di cacca.) What world! (Che mondo!)
Have you read the newspaper this morning? (Hai letto il giornale stamattina?) One title said “Still a delay on the case Pope, the Addition of the Bedroom will vote tomorrow”. (Un titolo diceva “Ancora un rinvio sul caso Papa, la Giunta della Camera voterà domani”.) One other, of one other newspaper, said “All the idealist of the technical government that try to grab themselves to the Hill”. (Un altro, di un altro giornale, diceva “Tutti gli illusi del governo tecnico che cercano di aggrapparsi al Colle”.) Here because I do not politics, because I not understand it nothing. (Ecco perché non faccio politica, perché non ci capisco niente.) One important new but was. (Una notizia importante però c'era.) “Little wed of Mount Charles Albert and Charlene are already separated at bed”. (“Sposini di Montecarlo Alberto e Charlene sono già separati a letto”.) What sad!... (Che triste!...) I am very preoccupied. (Sono molto preoccupato.) Is it for real real possible that the things stay like this? (È davvero possibile che le cose stiano così?) The poor Rainier and Grace Kelly must roll themselves in the grave. (I poveri genitori devono rotolarsi nella tomba.) But how it is possible to go in honeymoon without even make zin-zin? (Ma come è possibile andare in luna di miele senza nemmeno qualche momento di intimità sessuale sancita anche da Santa Romana Chiesa?) When I got married I waited two months before to go in honeymoon but I waited not two months to make zin-zin. (Quando io mi sono sposato ho aspettato due mesi prima di andare in luna di miele, però non ho aspettato due mesi per consumare il matrimonio.) But to you it looks normal? (Ma ti sembra normale?) Yes, it goes well, he is not exactly Brad Pitt, but she is a dumpling! (Sì, va bene, lui non è esattamente un figo, ma lei è una gnocca!) And not, one does not do like this. (E no, non si fa così.) Sure, we Italians are different. (Certo, noi italiani siamo diversi). I am sure that the very little Minister for the Public Administration and the Innovation has comported himself better. (Sono sicuro che Brunetta si è comportato meglio.) You will say to me that the very little Minister for the Public Administration and the Innovation always comports himself better. (Mi dirai che Brunetta si comporta sempre meglio.) And you will have reason. (E avrai ragione.) But it is from right an ugly figure for a Prince. (Ma è davvero una brutta figura per un principe.) Take the Beloved Leader, for example: he is not a prince, but one Viagra and hop! (Prendi Berlusconi, per esempio: non è un principe, eppure le donne le onora.) This is not politics. (Questa non è politica.) It is the honour that one tries to be Italian. (È l'onore che si prova ad essere italiani.) Take that other Minister, the one od the Reforms for the Federalism. (Prendi quell'altro ministro, Bossi.) Yesterday he has again raised his middle finger to the tricolour. (Ieri ha ancora alzato il dito medio al tricolore.) What marvelous sense of the freedom! (Che meraviglioso senso della libertà!) I believe not there is another country in the world where ministers are so free. (Non credo ci sia un altro paese al mondo dove i ministri siano così liberi.) What good to be Italians! (Che bello essere italiani!)
Dear Dany, forgive but I must go. (Cara Daniela, scusa ma devo andare.) I hope that this letter will help you when you will read the Bard of Avon. (Spero che questa lettera ti aiuterà quando leggerai Shakespeare.) Or possibly also when you will want to buy a ticket of the train at Nizamuddin station. (O magari anche quando vorrai comprare un biglietto alla stazione di Delhi.)
I go to make a shower to stink one little of less. (Vado a fare una doccia per puzzare un po' di meno.)
One embrace. (Un abbraccio)
Massimo

domenica 10 luglio 2011

Del teatro




Oltre alla cornice d'una sala patrizia e istoriata del castello, oltre a un unico dispositivo che è un tavolo antico, c'è la struggente fissità da cantoria di X e Y che alimentano sequenze in tema di recuperi sociali, mancati congedi, vaniloqui da orizzonti marini. Siede di lato, con imperturbabilità rituale, Z, dando lettura di E. Spettacolo, questo di C, colmo di malie lancinanti, di profondità non dette, di deserti del cuore, dove l'asciuttezza propria del regista s'arricchisce con certi sensi nascosti della cultura di Bergman e di Dreyer”.
Leggo questa critica teatrale (nella quale ho sostituito i nomi con delle iniziali) sul giornale di stamattina. Dico subito che questo spettacolo non l'ho visto e che magari è pure bello. Se ho i miei dubbi è per altre ragioni. Quello che ho sempre più difficoltà a sopportare è tutto quel microcosmo fatto di paroloni che cercano di sembrare intelligenti, di frasi in codice che sono lì solo per fare il pelo e il contropelo agli (auto)addetti ai lavori, di contorsioni cerebrali buttate giù per nascondere il vuoto cosmico.
Leggo questa critica e mi dico:
  1. lo spettacolo di cui qui si parla dev'essere una boiata pazzesca
  2. il critico deve avere avuto grossi problemi con la mamma, mai risolti neppure dai pur volonterosi interventi della zia Natalina
  3. un paio di sberle di Nanni Moretti gli farebbero un gran bene.
E mi chiedo:
  1. ma tutto questo cosa c'entra col teatro?
  2. se questo è teatro e se questo è il modo ormai consueto di parlare di teatro, perché mi ostino a fare teatro?
  3. il teatro lo si fa per il pubblico o per chi vaneggia di vaniloqui da orizzonti marini, di malie lancinanti e di deserti del cuore?
  4. sono io che sono diventato un dinosauro o sono loro che sono usciti da una crepa spazio-temporale?
E allora mi faccio una lista di cose che amo nel teatro, nel mio lavoro, nel mio mestiere:
  1. la voglia di dare allo spettatore qualcosa che lo faccia vivere un po' meglio e che lo faccia sentire un po' meno solo
  2. il silenzio, l'applauso, l'emozione, il sorriso, la lacrima repressa, la risata
  3. il profumo di polvere nei vecchi teatri
  4. la sensualità, l'odore del sudore, la doccia dopo lo spettacolo, il vuoto di memoria, l'improvvisazione
  5. la possibilità di dare forma a quello che molti pensano ma che non sanno come dire
  6. la sensazione dello stare insieme, non tanto con il pubblico quanto con ogni singolo spettatore
  7. la voce che riempie la sala come una nuvola
  8. la necessità (e la possibilità) in scena di essere completamente concentrato e completamente rilassato allo stesso tempo
  9. la sensazione di fare un mestiere artigianale senza sporcarsi le mani come un fabbro, senza imbrattarsi di farina come un panettiere e senza chinarsi sotto il lavandino come un idraulico
  10. l'obbligo morale della più assoluta onestà
  11. l'idea che il teatro serve a lavare i panni sporchi in (grande) famiglia
  12. l'esigenza di rendersi sempre comprensibile da tutti, anche da quelli che non ne avrebbero voglia
  13. il privilegio di farsi ascoltare e la conseguente voglia di dire cose che valgano la pena di essere dette
  14. la felicità nello scoprire che nella vita dello spettatore nella seconda poltrona della quinta fila si è chiarito qualcosa
  15. la gioia di dire bugie utili
  16. l'impressione di poter servire a qualcosa senza servire nessuno
  17. la coscienza di giocare e di guadagnarsi da vivere giocando
  18. la certezza che le cose che dico saranno interpretate in maniere sempre diverse
  19. la stilizzazione di mille incubi che mi permette di liberarmi dagli incubi
  20. l'impressione che per bocca mia sia qualcun altro che parla
  21. l'amore per un testo, per una storia, quando riesco a farli amare da qualcun altro
  22. la liberazione da tutte le pippe mentali che mi è offerta dal fare qualcosa invece che dallo stare lì a pensarci su
  23. l'amicizia del pubblico, la sua condivisione, il suo abbraccio
  24. il fatto di usare il mio corpo come uno strumento di lavoro
Sì, probabilmente sono un dinosauro. Ma ogni volta che ho l'immenso privilegio di ritrovarmi in scena mi dico che sono un dinosauro felice e che quella mia felicità è infettiva. Il teatro che amo è un morbo di felicità. Quello che detesto non è che un'influenza passeggera, però che palle stare a letto con la febbre quando fuori c'è il sole!

martedì 5 luglio 2011

Buckminster Fuller

Buckminster Fuller

Tra le poche centinaia di libri che mi restano in casa dopo che ho deciso di regalare tutti gli altri a una biblioteca pubblica ce n'è uno al quale tengo in modo particolare, The Last Whole Earth Catalogue. È un librone di 36,5x27,5cm, che comprende, sotto una copertina di cartoncino molle, 448 pagine in bianco e nero, stampate su una carta appena più spessa di quella di un normale giornale. L'ho comperato negli Stati Uniti nel 1972 e ogni tanto me lo vado a sfogliare, come si sfoglia un vecchio cimelio, o come si vanno a riguardare delle foto di famiglia.

Il Catalogue è stato un libro estremamente importante nella controcultura americana della fine degli anni '60 e nei primi anni '70. Steve Jobs, fondatore della Apple, lo definì una volta come “una Bibbia della sua generazione (…) una specie di Google cartaceo (…), idealista e stracolmo di strumenti interessanti e di grandi idee”.
Il Catalogue fu creato nel 1968 da un certo Steward Brand, scrittore, filosofo ed ecologista dell'Illinois. L'idea di base era di mettere a disposizione del pubblico uno strumento in grado di aiutare le persone a “sviluppare il loro potere di auto-educazione, trovare la loro ispirazione individuale, dare forma al loro habitat e far partecipare tutti quelli che fossero interessati alla loro avventura personale”. Vasto programma...
È praticamente impossibile dare per scritto un'idea di cosa sia il Catalogue. È un catalogo, certo, quindi un catalogo di oggetti, strumenti e utensili acquistabili per posta. Ma è molto di più: una fonte di ispirazione e oggi, quarant'anni dopo, anche di comprensione di quello che è stato il momento più entusiasmante del XX secolo. Qualche esempio:
  • pagina 61, un libro israeliano sulla coltivazione su suoli aridi ($15)
  • pagina 105, un manuale su come costruire barche in ferrocemento ($7,95)
  • pagina 157, l'indirizzo di un costruttore di forni per il vetro
  • pagina 202, un manuale di costruzione per un distillatore di bevande alcooliche ($2) pagina 295, un kit per cucire e ricucire le vele ($10,95)
  • pagina 364, un carrello per spostare i libri nelle biblioteche pubbliche ($54,50)
Eccetera, eccetera, eccetera...

Ma le prime due pagine del catalogo sono interamente dedicate a uno straordinario personaggio il cui nome è poco sconosciuto in Italia, Buckminster Fuller.
Fuller è invece molto conosciuto negli Stati Uniti. Le poste americane gli hanno dedicato un francobollo nel 2004, cinquantesimo anniversario della sua invenzione più popolare, la cupola geodetica; nel 1985 cinque chimici della Rice University, in Texas, diedero il nome di Buckminsterfullerina alla molecola di Carbonio 60 (C60), che è a tutt'oggi la più grossa nella quale si sia ravvisato un comportamente quantistico (vedi l'articolo Wave-particle duality seen in Carbon-60 molecules, qui: http://physicsworld.com/cws/article/news/2952) .
Fuller fu un ingegnere, architetto, inventore, ecologista e filosofo la cui opera influenzò profondamente la generazione “del '68”, cioè quella che oggi porta su di sé il peso di tutte le colpe. Ecco come Fuller raccontava la sua straordinaria creatività:
Sono nato strabico. È solo quando raggiunsi l'età di quattro anni che i dottori scoprirono che il mio strabismo era dovuto al fatto che vedevo anormalmente bene da lontano. Da lì la mia vista fu corretta con delle lenti. Fino all'età di quattro anni vedevo solo grandi forme, case, alberi, i contorni delle persone in colori confusi. Mentre scorgevo due aree scure sui volti umani, non vidi un occhio, una lacrima o un capello fino all'età di quattro anni. Nonostante la mia capacità attuale di vedere i dettagli, la mia dipendenza infantile e spontanea dalle forme di una certa dimensione mi è rimasta.
Sono convinto che né io, né nessun altro essere umano, passato o presente, sia stato o sia un genio. Sono convinto che ciò che c'è in me qualsiasi altro essere umano l'abbia in sé alla nascita. Naturalmente possiamo ipotizzare che tutti nasciamo geni per poi essere rapidamente degenizzati. Circostanzez sfavorevoli, miopia, sistemi nervosi fragili, nonché amori e paure filtrati dall'ignoranza degli adulti tendono a chiudere molte delle valvole che regolane le capacità del cervello dei bambini. Io ho avuto la fortuna di evitare che mi fossero chiuse troppe valvole.
C'è fortuna in tutto. La mia fortuna è stata di nascere strabico, di essere così spesso espulso da varie istituzioni (tra l'altro, Fuller fu espulso ben due volte da Harvard) che mi sono trovato nell'obbligo o di perire, o di usare alcune di quelle facoltà di cui tutti disponiamo e del cui uso le circostanze mi avevano talmente privato da farmele mettere nel congelatore. Solo situazioni bollenti come l'inferno mi hanno offerto abbastanza calore da scioglierle nuovamente quelle facoltà per poi usarle”.
Qualche altra citazione di Fuller:
  • non combattere la forza, usala
  • o la guerra è obsoleta, oppure lo è l'uomo
  • Dio è un verbo, non un sostantivo
  • l'oro e l'argento dei morti spesso sono piombo
  • ho spesso scoperto dove avrei dovuto andare andando da un'altra parte
  • l'umanità si dota delle tecnologie giuste per le ragioni sbagliate
  • io non faccio che inventare, poi aspetto che qualcuno abbia bisogno di ciò che ho inventato.
Per concludere, voglio segnalarvi il sito del Buckminster Fuller Institute (http://www.bfi.org/) dal quale potrete scaricare, se leggete l'inglese, vari libri. E vi consiglio in particolare quello che lessi nei lontani anni 70 e che mi sono riletto con enorme goduria un paio di settimane fa, Operating Manual for Spaceship Earth, ovvero Manuale operativo per l'astronave Terra, che è ancora oggi considerato come una delle basi dell'ecologia moderna.
Se non leggete l'inglese e se avete 50€ che vi pesano in tasca, potete sempre regalarvi Buckminster Fuller, architettura in movimento, di Michael G. Gorma, edito da Skira.
Nel frattempo approfittate delle vacanze per andarvi a guardare la paginetta che Wikipedia dedica alla cupola geodetica (http://it.wikipedia.org/wiki/Cupola_geodetica), quella su Fuller (http://it.wikipedia.org/wiki/Buckminster_Fuller) e, già che ci siete, quella sul Whole Earth Catalogue (http://it.wikipedia.org/wiki/The_Whole_Earth_Catalog). 
Per gli umbri o per quelli che passassero dall'Umbria durante l'estate, segnalo la cupola geodetica installata da Fuller nel 1967 a Spoleto, in viale Giacomo Matteotti, all'ingresso sud della città. 

Io mi faccio un caffé.

2.400 euro



A causa di inconvenienti tecnici, il motore di ricerca è stato momentaneamente disattivato. Ci scusiamo per il disagio.”
Questo mi dice il sito della Presidenza del Consiglio quando gli chiedo l'ammontare dello stipendio del Presidente del Consiglio. Lo stesso sito precisa altrove che “con la legge 18 giugno 2009, n. 69 è stato previsto, all’art. 21, che le pubbliche amministrazioni pubblichino sui rispettivi siti internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti”.
La mia curiosità è suscitata da recenti dichiarazioni del nostro Amato Leader secondo il quale Egli dà “in beneficenza i 2.400 euro che toccano al presidente del Consiglio”. Trattandosi di Lui, è evidente che quei 2.400 euro corrispondono più o meno a quello che sarebbero 20 centesimi per me e magari 6 per la zia Giuseppina, ex-postina in pensione.
Ma non è questo che mi stupisce. Mi chiedo: è davvero possibile che il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana guadagni 2.400 euro al mese, quando il Presidente dell'Umbria ne guadagna più di 6.000, quello della Basilicata più di 7.000 e quello del Piemonte più di 16.000? Già nel 2008 Il Messaggero pubblicava un articolo nel quale si sosteneva che il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano guadagnava 25.600 euro al mese (che tra l'altro erano 6.300 più della cancelliera Merkel).
Ho passato più di mezz'ora su internet a cercare dei dati precisi sugli stipendi dei nostri ministri. Non ne ho trovati. Sì, c'è qualche blog che spara cifre, ma per parlare di queste cose mi sembra sempre necessario far riferimento a notizie verificabili e ufficiali.
Una cosa ho trovato, una notizia secondo la quale il 2 ottobre 2006 l'allora Presidente del Consiglio Romano Prodi annunciò, nel quadro di una manovra finanziaria, la riduzione dello stipendio dei ministri del 30%, corrispondente a 24.601 euro annui. Ora, mi dico: se nel 2006 lo stipendio di un ministro di aggirava sugli 82.000 euro annui (cifra che deduco dividendo 24.610 per 30 e moltiplicando poi il risultato per 100), è mai possibile che cinque anni dopo lo stesso stipendio sia precipitato al di sotto di 30.000 euro? Tu ti ricordi di aver sentito parlare di una legge che sarebbe andata in questo senso? Io no. Oppure pensi che il parlamento una tale legge l'abbia votata di nascosto, magari per la vergogna dei ministri di guadagnare improvvisamente così poco? Mi sa che anche a questo ci credo pochino...
Tanto per fare qualche esempio, il Presidente del Consiglio spagnolo guadagna 92.000 euro all'anno (dato 2009), il Primo Ministro svedese 160.000, l'inglese 157.000, il francese 327.000.
Ripeto: non so quanto guadagni il Presidente del Consiglio italiano e mi rifiuto di lasciarmi andare a speculazioni immotivate e viscerali. Il punto non è questo. Il punto è che se quella cifra di 2.400 euro al mese fosse esatta sarei il primo a partecipare a una colletta nazionale per garantire che, il giorno in cui ci dovessimo trovare governati da qualcuno che non fosse di suo plurimilionario, magari addirittura qualcuno a cui qualche amico non comprasse a sua insaputa un appartamento con vista sul Colosseo, o, che so?, un qualche stravagante idealista che venisse fuori con l'idea assurda di rinunciare al doppio stipendio ministro/deputato, beh, quel giorno chi fosse Presidente del Consiglio non dovesse preoccuparsi dei suoi conti di famiglia, ma potesse mettere tutto il suo tempo e tutte le sue energie ad occuparsi dell'Italia.
Come dici? È proprio quello che succede oggi? Il nostro Amato Leader si preoccupa più dei suoi conti di famiglia che dell'Italia? No, guarda, a questi discorsi di parte e in totale malafede non ho nemmeno voglia di rispondere. Comunista!