venerdì 27 maggio 2011

LGBTTTIQQA (ecc.)

 


In un articolo della Repubblica di ieri ho scoperto l'esistenza di un acronimo che non conoscevo: GLBT. Ho cercato su Google e ho trovato una pagina Wikipedia dedicata a LGBT. Piccola differenza, non sostanziale.
LGBT significa Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender. Wikipedia però mi spiega che esistono delle varianti all'acronimo:

Esistono molte varianti, incluse variazioni che hanno un ordine diverso delle lettere, ma LGBT è l'acronimo più comune ed è uno dei più accettati nell'uso corrente. Quando i transgender non sono inclusi nel riferimento il termine viene abbreviato in LGB. Solitamente si aggiunge la Q per queer e la I per intersexual (qualche volta abbreviato con un punto interrogativo) (LGBTQI); altre varianti sono diventate LGBU, dove U sta per unsure (insicuro), e I per intersexual (LGBTI), un'altra variante è T per transessuale (LGBTT), un'altra è T (o TS o il numero 2) per persone con Two-Spirit (due spiriti), e una A per straight allies (LGBTA). Una sua forma completa è LGBTTTIQQA, sebbene sia molto raro. La rivista Anything That Moves ha coniato l'acronimo FABGLITTER (da Fetish, Allies, Bisessuale, Gay, Lesbica, Intersex, Transgender, Transexual Engendering Revolution (rivoluzione del genere transessuale). Il termine non è entrato, comunque, nell'uso comune.

E per fortuna che non è entrato nell'uso comune! Già è quasi impossibile ricordarsi del nome del vulcano islandese che erutta schifezze sulla Scozia (il Grimsvoetn) o del primo ministro giapponese (Naoto Kan), figuriamoci il LGBTTTIQQA o il FABGLITTER! Sì, certo, fabglitter in inglese può voler dire “scintillio favoloso”, ma chi lo sa? E poi, scusate, l'idea che 'sto scintillio favoloso sia riservato a quelli che fanno l'amore in modo diverso da me mi fa anche girare un po' i santissimi. Chiedete a mia moglie se non scintillo favolosamente anch'io quando faccio zinzin!...
Mi pare che a forza di voler catalogare la gente in generale e se stessi in particolare si finisca col cadere nel ridicolo. E mi viene in mente la frase della femminista nonché ministro Françoise Giroud che ebbe a dire anni fa che il femminismo avrebbe vinto quando donne incapaci fossero state fatte ministri. Ora, a parte il fatto che questa citazione sta a indicare che l'Italia, col suo tripudio di ministri femmine incapaci va ormai considerata come l'Eden del femminismo mondiale, mi spiegate dove sta l'idea di uguaglianza e di parità se uno deve sempre preoccuparsi di sapere con chi un altro va a letto e in che modo?
Da cittadino francese ho sempre pensato che nel famoso motto Liberté, Égalité, Fraternité l'Égalité ci stesse come i cavoli a merenda e ho sempre sostenuto che si sarebbe dovuto sostituirlo con Liberté, Diversité, Fraternité perché è verso il rispetto delle differenze più che delle aspirazioni all'uguaglianza che mi pare si debba andare. Ma non è che poi uno debba passare la vita a coltivarle, queste differenze, come se fossero discriminanti positive o negative. Se andiamo avanti così mi sa che tra un po' mi sentirò obbligato a definirmi EVLRTDRNQVACBFIFPI (Eterosessuale Vegetariano Lombardo Residente in Toscana Divorziato Risposato Nonno Quattro Volte Ateo Calvo Barbuto Fumatore Italo-Francese Presbite Ipermetrope). Chi può dire se la mia eterosessualità mi definisce meglio del mio vegetarianismo, della mia residenza in Toscana o della mia pilosità facciale? E poi, è normale che abbia dimenticato la B di Bianco, la P di Patafisico e l'altra, fondamentale P di Pigro?
In tutto questo gran bisogno di definirci e di differenziarci dagli altri io vedo soprattutto una certa quantità di miseria umana e di incapacità ad accettare noi stessi semplicemente per quello che siamo tutti: dei bipedi illogici, chimicamente instabili ed emotivamente imprevedibili. Il che, tutto sommato, non è poi una condizione così sgradevole, indipendentemente dal modo e dal partner con cui facciamo zinzin (se lo facciamo).

martedì 24 maggio 2011

I 70 anni di Dylan


Visto che oggi è il settantesimo compleanno di Bob Dylan e visto che ho recentemente pubblicato un post su di lui e soprattutto su un certo numero di baggianate scritte su di lui (19 aprile), ecco oggi la traduzione di un altro post, di sua mano, disponibile in versione originale all'indirizzo http://www.bobdylan.com/news/my-fans-and-followers.
Avrei voluto pubblicare anche una selezione di link versi articoli e video venuti o tornati fuori oggi, ma sono talmente numerosi che ho rinunciato.

Dixit Bob:

Permettetemi di chiarire un paio di cose sulla cosiddetta controversia cinese che è andata avanti per più di un anno. Prima di tutto nessuno ci aveva mai vietato di suonare in Cina. Questa storia è stata inventata da un promotore cinese che cercava di farmi andare in Cina dopo il Giappone e la Corea. La mia impressione è che avesse già fatto stampare i biglietti e avesse fatto promesse a certi gruppi prima che ci fosse stato un qualsiasi accordo. Non avevamo intenzione di suonare in Cina allora e siccome la cosa non accadde, molto probabilmente il promotore dovette salvarsi la faccia dicendo pubblicamente che il ministero dell'interno cinese mi aveva rifiutato il permesso di suonare. Se qualcuno si fosse dato la pena di verificare con il governo cinese sarebbe stato chiaro a tutti che le autorità cinesi erano all'oscuro di tutto.
Quest'anno ci siamo andati con un altro produttore. Secondo Mojo (rivista inglese di musica che ama autodefinirsi la migliore rivista musicale del mondo) ai concerti sarebbero venuti soprattutto degli stranieri e ci sarebbero stati un sacco di posti vuoti. Falso. Se qualcuno vuole verificare con chi ai concerti ci è venuto scoprirà che si trattava soprattutto di giovani cinesi. Pochissimi stranieri. Gli stranieri erano a Hong Kong, non a Pechino. Su 13.000 posti ne abbiamo venduti circa 12.000 e i biglietti restanti sono stati regalati a degli orfanotrofi. È vero che la stampa cinese mi ha reclamizzato come un'icona degli anni '60, pubblicando molte foto di Joan Baez, Che Guevara, Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Il pubblico del concerto probabilmente non conosceva nessuno di loro. Ciò nonostante ha risposto con entusiasmo alle canzoni dei miei quattro o cinque ultimi CD. Chiedete a chi c'era. Erano giovani e secondo me non conoscevano nemmeno le mie vecchie canzoni.
Quanto alla censura, il governo cinese aveva chiesto la lista delle canzoni che avrei suonato. Non c'è una risposta logica a questo, quindi gli abbiamo mandato la lista delle canzoni dei concerti degli ultimi tre mesi. Se c'è stata una qualsiasi canzone, un verso o una riga censurata nessuno me l'ha mai detto e abbiamo suonato tutte le canzoni che volevamo suonare.
Tutti sanno che c'è ormai un cacazillione* di libri su di me, già usciti o destinati a uscire nel prossimo futuro. Quindi vorrei incoraggiare chiunque mi abbia mai incontrato, sentito o anche solo visto, a darsi da fare per scribacchiare il suo libro. Non si mai, magari uno buono verrà fuori.

*cacazillione è la mia personale ed elegante traduzione dell'inglese gazillion, parola che indica un ipotetico numero enorme

giovedì 19 maggio 2011

Colpa del '68

I veri colpevoli
Non c'entra nulla l'omosessualità e nemmeno il celibato. La causa della pedofilia va rintracciata nel clima culturale libertario e permissivo del '68 e nella rivoluzione sessuale. È questo il risultato della più autorevole ricerca mai condotta dalla Confederazione americana dei Vescovi.
Questa eccellente notizia me la dava ieri il sito dell'eccellente Giornale diretto dall'eccellente Alessandro Sallusti.
L'autorevolezza della fonte — i vescovi americani, non Sallusti... — lascia poco spazio alle speculazioni. Eh, sì: secondo i bishops quello che è in causa non è il celibato dei preti, ma il 68. Cribbio! Ecco un'analisi fine quanto inattesa.
Ci sono voluti cinque anni per arrivare a capire la causa della pedofilia negli ambienti clericali, precisa Il Giornale, che parla anche di “effetto Woodstock. Cinque anni, mica due settimane. Roba seria.
Vi ricordate Woodstock? Vi ricordate quelle migliaia di ragazzi che si rotolavano nel fango, applaudivano Richie Havens e fumavano spinelli grossi come mazze da baseball? È colpa loro!
Adesso che ci penso, io in America ci ho vissuto. Avevo i capelli lunghi, fumavo spinelli e non solo ascoltavo, ma suonavo e cantavo addiritura Woody Guthrie, che non sarà stato nero come Richie Havens, ma era senz'altro più socialista di lui. Vuoi vedere che è anche colpa mia?
Affascinato dall'articolo del Giornale ho continuato a leggere: “Nel rapporto, che verrà diffuso integralmente domani dalla confederazione vescovile a Washington, si sostiene inoltre che non sarebbe stato possibile per la Chiesa né per nessun altro individuare in anticipo i preti pedofili, perché non presenterebbero "particolari "caratteristiche psicologiche", "storie di sviluppo" o disturbi dell'umore" tipici dei pedofili. Per questo, il rapporto sostiene anche che la maggior parte dei preti che hanno commesso abusi non possono essere definiti "pedofili".” Capito? La Chiesa non poteva sapere niente, perché i preti pedofili... non erano pedofili! Erano solo vittime del '68.
Chissà che sollievo per i bambini violentati. Sì va bene, per alcuni di loro la notizia arriva magari venti o trent'anni dopo i fatti, però vuoi mettere la differenza tra esserti fatto sodomizzare da un prete pedofilo o da uno che non lo era? È tutta un'altra cosa! Adesso l'ex-bambino sodomizzato finalmente sa che il pretazzo che gliel'ha ficcato dentro non era il vero colpevole: i colpevoli erano Bob Dylan e Mario Capanna, Daniel Cohn-Bendit e John Lennon, Pier Paolo Pasolini e Herbert Marcuse, e magari un po' anche I ricchi e i poveri.
Non ho pubblicato questo post ieri perché aspettavo le notizie di oggi. Stranamente, Il Giornale non ne dà. Ne dà invece il New York Times in un articolo intitolato Church Abuse Report Authors Defend Findings as Critics Weigh In (Gli autori del rapporto sugli abusi della Chiesa difendono le conclusioni mentre le critiche fioccano).
Dice il Times che David Clohessy, direttore del Network dei sopravvissuti agli abusi dei preti, ha scritto in una mail che “i vescovi americani sperano che questo sia il momento della loro Missione compiuta, come lo fu per George Bush la dichiarazione comoda e prematura di vittoria in Irak a bordo di una portaerei. Il loro piano è di fare come se la crisi fosse ormai chiarita e passata. È una cosa ingannevole e insincera, ma furba dal punto di vista delle pubbliche relazioni.
Quanto a David Finkelhor, direttore del Centro di Ricerca sui Crimini Contro i Bambini dell'Università del New Hampshire, se secondo lui è vero che il rapporto ha un certo valore, è altrettanto vero che le sue conclusioni possono semplicemente indicare che gli abusi sessuali iniziarono ad essere denunciati più largamente negli anni '60. Come dire che è assolutamente possibile (e altrettanto indimostrabile), che fu proprio il clima culturale libertario e permissivo di quegli anni (vedi Il Giornale) a far aumentare le denunce.
Naturalmente, visto l'aspetto tragico della questione, c'è poco da ridere. C'è da notare semmai come sia ormai diventato normale dire, scrivere e pubblicare imbecillità come quelle apparse sul Giornale. E leggendo i giornali di stamattina ho trovato altre due notizie sconfortanti: Lars Von Trier che dichiara di “capire e avere una certa simpatia per Hitler” e le suore dell'Istituto delle suore Marcelline di Lecce che fanno cantare Faccetta nera ai bambini nell'ambito di una celebrazione per il 150° anniversario dell'Italia, giustificando la cosa col fatto che facevano cantare anche Bella ciao. Quel che sconvolge è questa ormai perenne revisione e riscrittura orwelliana del passato. Che si tratti di sminuire i crimini di Hitler, di mettere su uno stesso piano fascismo e resistenza, o di fare del '68 la madre di tutti i mali, c'è una stessa volontà di riscrivere la storia e di sminuire le responsabilità dei colpevoli, degli stupratori e degli assassini, una stessa volontà, più o meno palese, di delegittimare le vittime a favore dei carnefici. Se anche i preti pedofili pedofili non lo sono, se anche Hitler è “simpatico”, se anche Faccetta nera non è altro che l'altra faccia di Bella Ciao, allora cosa stiamo qui a preoccuparci del presente? Tanto è tutto uguale, sono tutti corrotti, tutti colpevoli e magari anche tutti un po' simpatici. Allora, su, tutti insieme, rotoliamoci nel vomito.

mercoledì 4 maggio 2011

Dottori

Cortisone


Se non sapete cos'è la polimialgia reumatica non preoccupatevi. Fino alla settimana scorsa non lo sapevo neppure io. Poi mi hanno detto che ne avevo una.
Se avete meno di cinquant'anni non preoccupatevi. La polimialgia reumatica è una cosa riservata a noi vecchi signori dalle pilosità argentate che ci ricordiamo della vittoria di Luciano Tajoli e Betty Curtis con Al di là al Festival di Sanremo (http://www.youtube.com/watch?v=zN5ObLGgxAs). Strano peraltro che mi sia venuto in mente Luciano Tajoli, visto che camminava col bastone (anche se non era per una poliroba reumatica, ma per una poliomielite).
Insomma, non dico per vantarmi, ma una bella polimialgia io ce l'ho. Pare sia una cosa che non si sa perché viene, poi dopo sei mesi o un anno se ne va e buona notte ai suonatori. Senonché in quel cachicchio di sei mesi a un anno uno ha le gambe, le spalle e pare anche il collo di quelli che vengono il giorno dopo la volta che uno ha deciso di andare a correre una maratona senza essersi minimamente preparato. Una pacchia.
Allora uno va dal dottore, gli dice che ha male qua e qua e anche qua. Il dottore lo manda da un dottorone e quello gli dice che l'unica cura è il cortisone. Altra pacchia.
Ieri mattina ho preso la mia prima pasticca di cortisone. “Guardi che il cortisone — mi ha detto il dottore per rassicurarmi — è una cosa che il corpo fabbrica naturalmente”. Non gli ho risposto che il corpo fabbrica naturalmente anche la cacca ma che questa non è una buona ragione per mandarla giù in pasticche. Non lo conosco ancora bene il mio dottore, ci sono andato solo tre volte. 
Il dottore dal quale sono andato più spesso in vita mia è stato mio nonno, che è morto quando avevo sei anni e che mi faceva prendere dei sulfamidici (roba dei tempi du Luciano Tajoli). Da quei tempi ormai lontani tra me e i dottori c'è sempre stata una sana indifferenza. Loro vivono la loro vita, io la mia. Soprattutto gli allopati.
La prima volta che sono stato da questo mio nuovo dottore, un paio di mesi di fa, è stato una specie di avvenimento. L'ultimo allopata che avevo consultato era un malese, nel 1985. Gli avevo chiesto di venire nella mia stanza del Regent Hotel di Kuala Lumpur perché non potevo allontanarmi più di cinque minuti dal gabinetto, peraltro lussuoso, senza correre il rischio di sporcarmi i pantaloni. Sennò, solo omeopati. Bisogna dire che in Francia gli omeopati, benché generalmente disprezzati dagli allopati, non si fanno pagare un cacazillione di euro a visita e sono considerati medici come gli altri dalla mutua.
Passare da un omeopata a un allopata è un po' come passare dalla drogheria sotto casa a una cassa di Auchan: è vero che da Auchan puoi comprare più cose, ma è anche vero che la maggior parte di quelle cose sono schifezze e che comunque tu verrai trattato come un cliente indistinto tra gli altri vari milioni di clienti, mentre la tua droghiera ti ha sempre chiesto notizie dei tuoi figli e del tempo previsto per domani. Non sarà granché, ma sono cose che contano.
Ironia della sorte, avevo smesso di frequentare gli allopati quando uno di loro, un distinto signore francese appassionato di fotografia, faceva una puntura di cortisone a mio figlio di tre anni ad ogni crisi di pseudo-Krupp. 
Comunque sia, questa mattina ho preso la mia seconda pasticca di cortisone. Ieri, dopo la prima, ho avuto la bocca incatramata tutto il giorno. Stamattina però per la prima volta da mesi mi sono alzato senza far fatica e senza smadonnare, reggendomi sulle gambe come un qualsiasi bipede degno di questo nome. Ero già tutto contento, quando mi è tornata in mente l'ultima scena del Dottor Stranamore di Kubrick, quella in cui, dopo il lancio della bomba atomica, Peter Sellers si alza dalla sedia a rotelle e grida “Mein Führer! Cammino!” mentra la dolce voce di Vera Lynn si mette a cantare We'll meet again accompagnata da una specie di balletto di atomiche che esplodono qua e là.
L'allopatia ha impatti psicologici inattesi.