giovedì 30 settembre 2010

Del coso

Il coso


Ero seduto al caffé. La cameriera mi porta, appunto, il mio caffé, vede l'oggetto che ho sul tavolo e mi chiede cos'è.
— Un libro elettronico, le dico.
— Ma non è un computer..., mi dice, intrigata.
— No, è un libro elettronico.
— Cioè?
— Una cosa che serve per leggere dei libri che uno scarica da internet.
— Ma pensa!... Lei è molto più vecchio di me e io manco sapevo che 'sta cosa esisteva.
1 a 0, senza nemmeno la possibilità di mettere la palla al centro, ché lei già se n'era andata. Neanche il tempo di fare la mia battuta preferita di questi ultimi giorni quando qualcuno mi chiede cos'è e voglio fare il furbo: è come un Nook però non è della Barnes & Noble, o come un PRS, ma non è della Sony.
Il mio è un Kindle, della Amazon.
Lasciamo perdere le considerazioni nostalgiche di quelli che incominciano a dirmi che però così non ho più la sensazione sensuale delle pagine, l'odore della carta, ecc., che mi fanno sempre pensare a quelli che dopo Gutenberg dicevano che però così uno non aveva più la sensazione sensuale del libro scritto a mano. E lasciamo perdere, anche se mi dispiace, la gioia perversa e meschina di quello che ha una cosa che hanno in pochi. 'Sto libro elettronico è comunque una gran bella cosa.
Premessa: almeno la metà dei libri che leggo li leggo in inglese. Quindi da Amazon (o altrove) trovo praticamente tutto. Seconda premessa: sono spesso in viaggio e i libri cartacei in valigia pesano.
Dette queste due cosine, il libro elettronico è una gran bella cosa.
Il mio ha 3 giga di memoria. Tanto per dare un'idea, mi sono scaricato (gratis e legalmente) il Decameron e ho visto che fa 22 mega. Quindi, a occhio e croce, in viaggio potrei portarmi dietro almeno 135 Decameron.
Lo schermo: chi non ha mai visto un ebook potrebbe erroneamente pensare a uno schermo di computer. Errato: uno schermo di ebook è opaco e non ha luce propria. È quindi perfettamente leggibile in pieno sole, mentre diventa invisibile in una galleria ferroviaria alle tre di notte.
Il peso: più o meno quello di un Libro di Camilleri edito da Sellerio.
Il prezzo: la versione con solo wi-fi (senza connessione 3G) viene circa 130€ spedizione compresa.
La lettura: uno può aumentare o diminuire la grandezza delle lettere. Tutti i i libri appaiono in unico font. Le pagine si girano facendo clic su un bottone e il cambio è immediato.
Le sottolineature: chi, come me, sottolinea un sacco quando legge un saggio può farlo facilmente.
Le note: chi, oltre a sottolineare, scrive anche note nei margini, può farlo. La cosa è meno rapida di quando si scrive a mano, ovviamente, ma tutte le note vengono inserite in una cartella a parte, il che non è niente male.
Le immagini: per ora sono rigorosamente in bianco e nero (buona qualità) e non possono ovviamente essere più grandi dello schermo, cioè 12,2x9 cm. Tanto per dare un riferimento, il testo su un tascabile Sellerio occupa uno spazio di 13,5x8,2 cm
I dizionari: basta andare su una parola con il cursore ed ecco apparire la definizione che ne dà il dizionario che si è impostato come principale.
I formati: il problema non esiste, perché una volta scaricato un libro qualsiasi sul computer basta avere il software gratuito Calibre per convertirlo nel formato del proprio ebook. Quello del Kindle è .Mobi, quello del Nook è .Epub, ecc.
Musica: per chi ama leggere in musica, il Kindle legge anche gli MP3 (ingresso auricolari, oppure mini casse).
Segnalibro: con due clic puoi aggiungere un segnalibro che resta in memoria e appare sotto forma di un angolino di pagina ripiegato in alto a destra.
Costo dei libri: i libri costano meno in versione elettronica. Moltissimi classici, scritti più di 75 anni fa, e quindi non più protetti da diritti d'autore, sono gratis. I romanzi contemporanei già usciti in tascabile (parlo sempre di libri in inglese), costano 15 a 30% di meno. Il primo libro recente che ho comperato è stato il nuovo Stephen Hawking, uscito il mese scorso in Inghilterra e negli Sati Uniti. Prezzo su Amazon UK 9,49£ (11,50€), prezzo Kindle 5,93£ (7,19€). Su Amazon USA si passa da 15,40$ (12,12€) a 13.79$ (10,85€). Inutile dire che con la connessione wi-fi il libro arriva in meno di un minuto, con risparmio del biglietto del tram o della benzina per la spedizione in libreria.
Connessione internet: per il momento dall'Europa uno si può connettere solo ad Amazon, nonostante sia presente un navigatore che permetterà, una volta che Amazon avrà firmato dei contratti con i provider, di navigare su internet e di avere una casella postale.
Perdita dell'ebook: se uno perde l'ebook può sempre riscaricare gratis tutto quello che aveva già comperato.
Incubo: Amazon saprà sempre quello che stai leggendo, comprese le tue sottolineature e le tue note. Non solo, ma potrà anche di più. Un po' di tempo fa è successo che tutti quelli che avevano comprato La fattoria degli animali e/o 1984 di Orwell se li sono visti sparire dal Kindle. Motivo: Amazon li aveva cancellati perché si era accorta che la persona che le aveva venduto i diritti elettronici dei due libri non aveva il diritto di venderglieli.
Svantaggi rispetto al libro cartaceo: uno non può sfogliare le pagine altrettanto rapidamente. Se sei su un libro elettronico, vai avanti (o indietro) pagina per pagina. Però puoi cliccare una parola per la ricerca ipertestuale, che il cartaceo non ti fa. Altro svantaggio: quando cerchi una frase che avevi letto qualche pagina prima, di solito ti ricordi se era in alto a sinistra o in basso a destra; qui le pagine sono tutte uguali e oltre tutto sono più numerose. Da questo punto di vista l'ebook mi sembra più adatto alla lettura di romanzi che di saggi (soprattutto quelli di Hawking, nei quali io ho sembre bisogno di andarmi a verificare per la cinquantesima volta cos'è un bosone e cos'è un fermione...).
Morale della favola: per ora sono molto contento del mio Kindle, anche perché ci posso mettere dentro tutti i testi che voglio, compresi quelli scritti da me che mi basta convertire da .doc a .mobi. La lettura è comoda e piacevole. Il costo dell'oggetto dovrei ammortizzarlo entro un anno o poco più, visto il mio ritmo di lettura e i costi dei libri. Ovviamente continuerò a comperare libri cartacei, sia quelli con immagini che voglio avere in buona qualità, sia quelli italiani e francesi non ancora disponibili sul net.
Non sono sicuro che l'argomento che vuole che il libro elettronico sia più ecologico del cartaceo perché fa sì che si abbattano meno alberi sia giusto, vista la plastica e la tecnologia impiegate. Però la cosa è da verificare.
Siccome quest'anno per la prima volta le vendite di libri elettronici hanno superato negli USA quelle di libri cartacei, è logico immaginare che anche l'editoria italiana farà il passaggio entro un anno o due. Chissà, magari la gente finirà col leggere di più.
Detto questo, Berlusca delendum est, come sempre.

lunedì 27 settembre 2010

Di un'opera d'arte

L.OV.E., Maurizio Cattelan

Maurizio Cattelan, noto “artista” milanese, sta installando la sua ultima “opera” davanti al palazzo della Borsa meneghina. Nel caso di Cattelan le virgolette mi sembrano indispensabili, vista la pirlitudine delle sue “creazioni”. È lui che aveva già esposto in passato tre bambini di plastica impiccati a un albero, papa Wojtila colpito da un meteorite, o un cavallo imbalsamato appeso al soffitto.
Pare che la “scultura” del dito medio alzato abbia provocato qualche dissenso in consiglio comunale, dove il sindaco Moratti l'avrebbe trovata “ironica”, mentre l'assessore leghista Massimiliano Orsatti avrebbe dichiarato che “se vogliamo accreditarci come città capitale dell’arte contemporanea dobbiamo saper sì mediare ma anche accettare quello che non ci piace”.
A parte la patetica idea di voler acrreditare Milano come “capitale dell'arte contemporanea” quando tutti sanno che è a New York, Berlino, Londra e Parigi — per non citare che alcune delle indiscusse capitali culturali mondiali — che l'arte contemporanea esiste veramente, è l'idea dell'”accettare anche quello che non ci piace” che fa sorridere. Non “ci” piace a chi? Ai milanesi? Al consiglio comunale? Ai leghisti? A tutti?
E perché dovremmo accettarlo? Perché qualche critico definisce arte della cacca in scatola?
Naturalmente questa mia ultima e retorica domanda fa pensare alla famosa “Merda d'artista” di Piero Manzoni. Ma quello era il 1961, cioè un mondo totalmente diverso, andato, finito, passato. In un certo senso era un mondo più vicino a quello in cui Duchamp mise in mostra la sua Ruota di bicicletta o il suo orinatoio intitolato Fontana.
L'”arte” di Cattelan è solo mercato. La prima cosa da fare di fronte a scemenze del genere è rifiutar loro la dignità della discussione. Che si tratti di pittura, di scultura, di musica o di teatro, campo a me meglio conosciuto, gli esempi di “creazioni artistiche” assolutamente ridicole e il cui unico merito è quello di aver spillato denaro a qualche ente pubblico sono ormai numerosissimi. Decine e decine di venditori di cacca in scatola riescono con grande abilità a farsi chiamare artisti e ci inondano poi delle loro inezie.
Ieri La Repubblica ha pubblicato due articoli a questo proposito. Nel primo, Natalia Aspesi ricorda la mostra intitolata Sensations alla Royal Academy di Londra nel 97. “L'inventore di Sensations, scrive la Aspesi, era Charles Saatchi, collezionista e boss della pubblicità. Che aveva capito come il compito provocatorio, anche scandaloso, anche horror dell'arte non era più ideologico, dirompente, ma mercantile, da sfruttare come nuovo veicolo di comunicazione, di pubblicità: perfetto per vendersi e per vendere.”
La stessa Aspesi ricorda più sopra una serie di altre “sublimi” installazioni viste negli anni passati: “capanna fatta di assorbenti, signora che spolpa ossa puzzolenti, donna nuda appesa al soffitto, lepri morte, formicai inghiottiti da serpente, l'artista che scopa la sua signora, balena tagliata a fette in formaldeide, ritratto in plexiglass dell'artista riempito di sangue refrigerato, letto disfatto con macchie di sperma, di mestruazioni, briciole di biscotti e pulci, e la capostipite “merda d'artista”, ecc.” Aggiungo l'altrettanto “sublime” mostra di Tampax usati che vidi a Parigi una trentina d'anni fa.
Credo che alla scultura di Cattelan si debba solamente la stessa attenzione che si deve alla vendita di un paio di mutandine, di una Punto o di una pizza margherita, niente di più.
Concludo con una citazione dello storico dell'arte Jean Clair, autore dell'altro articolo di Repubblica: “Questi fenomeni dell'arte attuale, da Koons a Damien Hirst, sono una perfetta illustrazione di quello che il filosofo Marcel Gauchet chiama “l'individuo totale”, vale a dire colui che ritiene di non avere nessun dovere nei confronti della società, ma tutti i diritti di un “artsita”, “totalitario” com'era un tempo lo Stato, in cui traspariva lo spettro del bambino che crede di essere onnipotente e di imporre agli altri, attraverso le istituzioni pubbliche, gli escrementi di cui si compiace.”
È quindi a Maurizio Cattelan, ai suoi compari, ai suoi ammiratori e ai suoi finanziatori che dedico questa mia sublime opera fotografica: 

M.A. V.A.F.F.', Massimo Schuster




sabato 18 settembre 2010

Di cose ignobili

Bambina rom schedata dai nazisti

Nell'ormai lontano novembre 1992, guardando il telegiornale della sera e restando allibito davanti alle ennesime e terribili notizie provenienti dalla Bosnia, decisi che sarei andato a Sarajevo. La città era assediata e regolarmente bombardata e i cecchini giocavano al tiro al piccione con gli abitanti. Quelle notizie non erano in fondo più terribili di tante altre, provenienti da tanti altri posti del mondo. Ma ciò che mi sembrò inaccettabile e mi spinse a voler uscire dall'immobilità per “far qualcosa” fu il fatto che in piena Europa per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale si parlava apertamente di epurazione etnica.
Quell'orrenda idea, che con il nazismo aveva significato il massacro sistematico di ebrei e rom (e omosessuali, e portatori di handicap, e oppositori politici), la credevamo sradicata per sempre, almeno dal nostro continente. Ma per sempre non è un'espressione compatibile con il concetto di Storia.
A Sarajevo finii con l'andarci sei o sette volte, non certo per combattere, ché sarei stato ridicolo, ma per fare il mio mestiere di teatrante. Così ci feci le prove e la prima di un mio spettacolo, la regia di un altro, con la stessa conmpagnia con la quale aveva lavorato Susan Sontag, ci portai il mio vecchio maestro Peter Schumann.
Oggi, neanche vent'anni dopo, nessuno oserebbe (ancora) parlare di epurazione etnica. Si osa però già senza pudore parlare di espulsione dei rom.
Forse è bene cominciare col ricordare che 600.000 Rom e Sinti (stime del cardinal Marchetto in un'intervista a Famiglia Cristiana, 27 agosto 2010) sono stati uccisi nei campi di sterminio nazisti. Non perché fossero ladri, non perché fossero comunisti, ma perché erano Rom e Sinti. Esattamente allo stesso modo in cui sei milioni di ebrei subirono la stessa sorte, semplicemente perché erano ebrei. Un certo numero di rom italiani e stranieri fu arrestato in Italia e imprigionato nei campi di Agnone, Bolzano, o delle Tremiti. Numerosi di quelli che riuscirono a fuggire si unirono a gruppi partigiani.
Ma con questo i nostri governanti sembrano pulircisi il sedere.
Espellere i rom oggi, o almeno espellere quelli di loro, circa la metà, che non hanno la cittadinanza italiana, significa correre il rischio di risvegliare la bestia immonda di cui Brecht diceva che è sempre incinta; significa seminare vento e avere la certezza di raccogliere grosse tempeste; significa essere totalmente irresponsabili, oltre a dimostrarsi ignoranti, privi di di umanità, razzisti e stupidi.
Quel che sta succedendo è davvero grave. Tutto è cominciato con quattro pagliacci in camicia verde che farneticavano su una pseudo cultura padana, pseudo espressione di uno pseudo popolo padano, ed eccoci arrivati a ministri che parlano di deportare minoranze etniche (in Francia hanno già incominciato).
Giudicare la gente in funzione della sua appartenenza a un gruppo tecnico è ignobile. Una delle basi del diritto è che la gente va giudicata per quel che fa, non per quel che è. Uno va punito se ruba, non se è figlio di ladri, veri o presunti. E va punito se propaga idee razziste, xenofobe e portatrici di odio; se osa ancora spudoratamente, dopo centinaia di migliaia, dopo milioni di morti, pensare che perché si fa parte di un gruppo etnico bisogna essere puniti o premiati, che per quell'appartenenza si devono avere certi diritti o certi doveri specifici, che là da dove uno viene è più importante del modo in cui uno vive e si comporta.
Come ieri di fronte al massacro dei civili bosniaci, così oggi di fronte alla ventilata deportazione dei rom ho la forte impressione che se lasciamo fare senza reagire questo sarà solo l'inizio di qualcosa di molto più ignobile. E come ieri anche oggi ho la forte impressione che la battaglia non debba essere tanto politica, e ancor meno militare, quanto culturale.

martedì 14 settembre 2010

La candidata anti-masturbazione

Christine O'Donnell

Mi direte che il Delaware è solo uno staterello dell'est degli Stati Uniti dal quale non ci giungono di solito più notizie che dal Bhutan o da Tonga. Con meno di 900.000 abitanti, è difficile che sia il Dalaware a poter cambiare la storia della superpotenza numero uno.
È però interessante dare un'occhiata a quel che sta succedendo in questi giorni, quando sono in corso le primarie per l'elezione al posto di senatore repubblicano.
Il senatore attuale è Mike Castle, già due volte governatore dello stato, ma a lui è venuta ad opporsi Christine O'Donnel, 41 anni, appartenente al movimento Tea Party di Sarah Palin, nonché fondatrice di SALT, Savior's Alliance for Lifting the Truth, ovvero l'Alleanza del Salvatore per Far Emergere la Verità, o qualcosa del genere.
La simpatica Christine ieri ha partecipato a una trasmissione di MTV, Sex in the 90s, spiegando la sua visione del sesso. Non che non l'avesse già fatto in passato. In un articolo del 1998, per esempio, scriveva che "Dio vuole da noi che viviamo delle vite caste". Non possiamo naturalmente che ringraziarla dell'informazione, che riteniamo di prima mano.
Ma vediamo come incominciava quel famoso articolo: 
"Adolph Hitler disse una volta che per controllare una società devi prima controllarne il linguaggio. Così, cominciando dalla gioventù, mise in atto un piano per erodere il potere delle parole, per rubare il significato e la bellezza di una singola parola."
Notiamo subito lo stile lambiccato e contorto della frase, che ho cercato di tradurre come ho potuto, e andiamo avanti ricordandoci che ha cominciato col parlare di Hitler. 
"Oggi possiamo vedere la messa in atto di quello stesso piano nella nostra società. La liberazione sessuale della società ha fatto nascere un lessico completamente nuovo. Per esempio, gay ha sempre volute dire gioioso e giubilante. Eppure oggi se diciamo che Ellen è gay non stiamo certo parlando di un suo stato di benessere emotivo."
Questa acuta osservazione ci fa pensare che ci dev'essere stata qualche manipolazione filo-hitleriana anche dietro il fatto che la parola macchina si sia messa a significare automobile, che se chiedo una penna non mi aspetti di farmi passare un'appendice di volatile e che se dico che sono in un bel casino non intenda che mi trovo in una casa di tolleranza costruita bene.
Ma proseguiamo.
"Allo stesso modo, persino i cristiani si sono lasciati andare a usi nuovi di parole vecchie, spesso cercando di restare competitivi nei dibattiti pubblici. Parole come astinenza e frasi come verginità secondaria sono ormai comuni."
Che l'espressione verginità secondaria (che non è una frase, cara la mia Christine...) sia ormai comune nel Delaware, non ne dubito. Per fortuna non ancora da noi. Spiegazione: un certo numero di cristiani americani chiamano verginità secondaria la scelta di un uomo o di una donna dell'astinenza dopo essersi lasciati precedentemente andare (orrore!) al peccato di carne. Le stesse persone usano talvolta anche l'espressione vergine riciclata, di indubbia eleganza.
Un po' più in là nello stesso articolo, Christine fa riferimento alle Lettere ai Filippesi dell'apostolo Paolo. Ora, io non sono cristiano, però non ho nemmeno avuto bisogno di consultare Wikipedia per sapere che Paolo apostolo non lo è mai stato, sennò non sarebbe caduto da cavallo, visto che gli apostoli andavano a piedi.
E qui mi fermo perché mi pare chiaro quel che tutta questa storia dimostra, cioè l'esistenza e il grande successo di una destra americana cristiana, bigotta e ignorante da far paura. Magari penserete che il nome di Christine O'Donnell me lo sono andato a cercare su qualche oscuro sito internet, ma no: oggi è lei il grande soggetto della stampa americana, perché se fosse eletta al senato rischierebbe di votare spesso contro il suo stesso partito Repubblicano d'origine, privandolo così della maggioranza che spera di ottenere.
Vi raccontavo qualche giorno fa del numero impressionante di gente che ho visto leggere la Bibbia in metropolitana a New York. È l'altra faccia dello stesso fenomeno: una società che si irrigidisce sui suoi dogmi religiosi, dimenticando la profonda laicità delle sue fondamenta (vedi vari scritti di Washington, Jefferson, Franklin e altri). Mi sa che è ancora meglio da noi: qui va tutto a puttane, il papa ce l'abbiamo in casa, però nessuno si sognerebbe di usare la sua opposizione alla masturbazione come argomento elettorale. Anzi, casomai è il lettone di Putin che sembra funzionare.

Allegria!



Qualche sera fa, verso le 11, Sky ha mandato in onda la finale del Rischiatutto 1972. Pare fosse l'anniversario della morte di Mike Bongiorno.
Io nel 1972 facevo l'hippy pendolare tra Europa e Stati Uniti e Mike Bongiorno non lo guardavo. La trasmissione non ha quindi suscitato in me alcun Amarcord e l'ho guardata con una specie di interesse etnologico. E sono rimasto basito confrontandola con quelle di oggi.
Dico subito che, se telefago lo sono, lo sono in maniera selettiva: divoro film, serie americane e quintali di documentari, ma non mi verrebbe mai in mente di guardare telenovelas, varietà o semplicemente trasmissioni delle televisioni del nostro Amato Leader. Non amo farmi del male. Mi è capitato però, come a tutti, per curiosità forse un po' morbosa, o semplicemente per capire di cosa molti parlino in continuazione, di dare un'occhiata di una decina di minuti a cose come Chi vuole diventare milionario e altre simili scemenze.
La visione del Rischiatutto del 1972 mi ha stupito, al di là delle differenze formali e dell'inenarrabile particolarità del personaggio Mike, per la quantità e il tipo di domande fatte ai concorrenti. Domande difficilissime, specialistiche ed estremamente varie. Ognuno dei tre concorrenti aveva una sua materia di predilezione: le fiabe per una signora torinese, la musica classica del '700 e dell'800 per un medico bolognese e non so più cosa per un farmacista fiorentino. Oltre alle materie di predilezione dei tre però, le domande ne coprivano altre sei: dai vincitori di premi nobel alle « belle donne », dalla storia romana allo sport. Per carità, né la conoscenza del nome di battesimo di Rita Hayworth (Margarita carmen Cansino), né quella dell'anno del nobel a James Chadwick (1935), né la lista dei sette paesi della costa pacifica situati tra USA e Venezuela (Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama) fanno « cultura ». L'hanno detto in tanti, mille volte: una cosa è il nozionismo, un'altra è la cultura. Resta però il fatto che alla fine di quel vecchio Rischiatutto ho avuto l'impressione, giusta o sbagliata che fosse, di avere imparato qualcosa, mentre invece dopo dieci minuti di Chi vuole diventare milionario mi ero sentito più stupido di prima.
Quella vecchia televisione (e anche questo probabilmente l'hanno detto in tanti, ma non è male ripeterlo), la si guardava per curiosità, perché era effettivamente una finestra sul mondo, mentre quella di oggi la si guarda per rassicurasrsi, per accertarsi di essere un po' meno imbecille di chi appare sullo schermo. Lo sguardo curioso di una volta è stato sostituito da uno sguardo morboso. I concorrenti del Rischiatutto erano, o almeno ci apparivano come gente che « sapeva », mentre quelli dei quiz di oggi sembrano dover essere o dei fenomeni da baraccone o dei semplici stupidi. L'ammirazione un po' sempliciotta che si provava davanti a un concorrente capace di citare nel giro di un'ora il tempo esatto dei duecento metri di Mennea a Città del Messico (19'72"), la tonalità della terza sinfonia di Brahms (fa maggiore) e la data della festa nazionale finlandese (6 dicembre), era intrisa di generosità. Lo sguardo dello spettatore odierno invece, soprattutto di quello che si vuole smaliziato, è pieno di sufficienza e di disprezzo. Non è solo il livello intellettuale generale che sembra sceso in maniera abissale, è anche quello, come dire?..., di compassione. Ho l'impressione che quarant'anni fa guardassimo il mondo come un orizzonte da conquistare, come qualcosa di bello e ricco, mentre oggi lo guardiamo come un luogo ostile nel quale solo i « furbi » e i disonesti possono trionfare. Il mondo è diventato un triste giardino sfiorito nel quale i nostri figli e nipoti saranno condannati a vivere peggio di noi. Mi sembra questo il vero cambiamento epocale. Un cambiamento di grande squallore e tristezza, che la visione di un vecchio Rischiatutto mi ha reso un po' più chiaro.

lunedì 13 settembre 2010

Un po' di Ginsberg non fa mai male

Bob Dylan e Allen Ginsberg in Renaldo and Clara, regia di Bob Dylan

Avevo una quindicina d'anni quando ho scoperto Ginsberg. Il mio amico Paolo, di Torino, mi aveva fatto scoprire Bob Dylan e sul retro dell'album Another side avevo trovato quello strano nome: Allen Ginsberg. Mi ero informato e avevo comprato un'antologia firmata Fernanda Pivano (of course...).
Quest'estate, nel Vermont, ho visto uno spettacolo che terminava con una poesia che mi è sembrato riconoscere. Ho chiesto alla regista e, sì, si trattava proprio di Nota a Urlo di Ginsberg. Me la sono scaricata da internet e me la sono tradotta. Sarà l'età, ma a me sembra ancora bellissima, fortissima e attuale. Ve la regalo.

Nota a Urlo

Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! 
Il mondo è santo! L'anima è santa! La pelle è santa! Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il buco del culo santi!
Tutto è santo! tutti sono santi! ogni posto è santo! ogni giorno è eternità! Ogni uomo è un angelo! 
Il barbone è santo quanto il serafino! il pazzo è santo quanto tu anima mia sei santa!
La macchina da scrivere è santa la poesia è santa la voce è santa gli ascoltatori sono santi l'estasi è santa!
Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien santo Kerouac santo Huncke santo Borroughs santo Cassady santi lo sconosciuto sodomizzato e i mendicanti sofferenti santi gli spaventosi angeli umani!
Santa mia madre al manicomio! Santi i cazzi dei nonni del Kansas!
Santo il sassofono gemente! Santa l'apocalisse bop! Santi i gruppi jazz fumatori  di marijuana pace & spazzatura & tamburi!
Sante le solitudini dei grattaceli e degli asfalti! Sante le caffetterie piene a milioni! Santi i misteriosi fiumi di lacrime sotto le strade!
Santo l'autotreno solitario! Santo il grande agnello della classe media! Santi i pastori pazzi della ribellione! Chi ama Los Angeles È Los Angeles!
Santa New York santa San Francisco Santa Peoria & Seattle santa Parigi santa Tangeri santa Mosca santa Istanbul! 
Santo tempo nell'eternità santa eternità nel tempo santi gli orologi nello spazio santa la quarta dimensione santa la quinta Internazionale santo l'angelo nel Moloch!
Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa la locomotiva sante le visioni sante le allucinazioni santi imiracoli santo il globo oculare santo l'abisso!
Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri! corpi! sofferenza! magnanimità!
Santa la gentilezza intelligente extra brillante supernaturale dell'anima!

Qualche nota:
  • Peter è Peter Orlovsky, amico e amante di Ginsberg per quarant'anni
  • Solomon è lo scrittore Carl Solomon, amico di Ginsberg. I due si incontrarono in un ospedale psichiatrico
  • Lucien è Lucien Carr, amico di università di Ginsberg che lo presentò à Kerouac e Borroughs
  • Huncke è le scrittore Herbert Huncke, che probabilmente coniò il termine beat generation
  • Kerouac e Borroughs si sa chi fossero...
  • Cassady è Neal Cassady, personaggio centrale di On the road di Kerouac, che però gli cambia il nome in Dean Moriarty
  • Peoria è la città dell'Illinois nella quale Abraham Lincoln pronunciò un famoso discorso contro la schiavitù
  • Moloch è sia il nome di un antico dio mediorientale che quello di un sacrificio legato al fuoco

giovedì 9 settembre 2010

New York

Sono tornato un paio di giorni fa dagli Stati Uniti. Due settimane nel Vermont, dai miei vecchi amici del Bread and Puppet, poi due a New York, dove Elena mi ha raggiunto. Lei non era mai stata negli Stati Uniti ed è stato bello andare in giro insieme e fare i turisti in quella strana città dove arrivai quasi quarant'anni fa come in un sogno e che nel frattempo è tanto cambiata. In meglio, perché non c'è più quel senso di pericolo che c'era allora, quando bisognava stare attenti a non sbagliare strada se non si voleva correre seri rischi di farsi derubare anche in pieno giono; in peggio, perché i newyorkesi mi sono sembrati sempre più dei marziani.

Basta salire in metropolitana per rendersene conto. Un terzo dei passeggeri ha l'aria assonnata o annoiata, come in qualsiasi metropolitana di grande città del mondo; un terzo si serve di schermi elettronici (IPhone, IPad, Blackberry, telefonini di ogni tipo, Kindle, Nook, Nintendo, ecc.); ma l'ultimo terzo è quello davvero strano: legge la Bibbia. C'è un numero pazzesco di gente che legge la Bibbia. Giovani, vecchi, bianchi, neri, gialli, ebrei con i ricciolini lungo le orecchie, distinte signore, ragazzi con la maglietta dei New York Yankees e ragazze tatuate. Ah, sì, i tatuaggi: anche quelli sono legioni. Visto che anche i newyorkesi mantengono la buona abitudine di evitare di salire in metropolitana nudi come li ha fatti mamma e visto che forse 50% dei tatuati lo sono in punti del corpo invisibili sotto i vestiti, direi, a occhio e croce, che un newyorkese su due è ormai tatuato.

Cose viste a New York:
  • un  ragazzo che camminava sulla 6th avenue con una canottiera bianca traforata, tipo anni 60, prova che quelle orribili cose esistono ancora;
  •  a Ellis Island, una famiglia intera di indiani d'India che si faceva fotografare davanti a un grande pannello intitolato American Indians, sul quale erano indicati i nomi di tutte le tribù d'indiani d'America;
  •  il West Indies Carnaval, a Brooklyn;
  •  la mostra intitolata King Tut, che è il nomignolo sotto il quale tutti gli americani conoscono il faraone Tutankhamon (e sono sorpresi quando gli dici il nome intero almeno quanto lo sarebbero se gli spiegassi che il T-Rex è in realtà il tirannosauro...);
  •  un topo di plastica alto più di due metri davanti all'ingresso dell'Empire State Building;
  •  una donna di colore con in testa un cappello da vescovo;
  • Spike Lee che stava girando un film;
  • l'attore che fa l'amico del proganista della serie White Collar che passeggiava col bambino;
  • un amico italiano incontrato ben due volte per puro caso in posti diversi;
  •  un ristorante afghano, che di questi tempi non so bene come se la cavi...;
  •  il più bel negozio di macchine fotografiche, video e accessori di ogni tipo che ci sia al mondo (B&H, 420 9th Ave.);
  •  le vetrate di St. John the Divine, cattedrale gotica in piena Manhattan, nonché tuttora in costruzione; da segnalare in particolare quelle nella cappella dedicata al mondo dello sport, sulla quale appaiono, tra gli altri, un calciatore, un corridore automobilista, un giocatore di baseball, ecc.;
  •  la High Line, che poi è una bellissima passeggiatina su una ex linea soprelevata della metropolitana tra la 13a e la 21a lungo l'Hudson;
  •  Broadway boogie-woogie di Mondrian, vari PicassoMatisseCézanneVanGoghGauguin, il chiostro medievale di Saint-Guilhem-le Désert (che è nel sud della Francia, vicino a Montpellier), smontato pezzo per pezzo e rimontato integralmente nel nord di Manhattan;
  • il museo di storia naturale, che è un capolavoro del primo novecento voluto da Theodore Roosvelt, quello al quale si deve il Teddy Bear.

E qui mi fermo per riprodurre l'articolo di Wikipedia sul Teddy Bear, perché molti non conoscono l'origine dell'orsacchiotto di peluche che avevano da bambini:

"È risaputo che il nome Teddy Bear venga da un episodio accaduto al Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, soprannominato "Teddy", che come passatempo andava a caccia grossa. Nel 1902, durante una battuta di caccia all'orso lungo il fiume Mississipi, Roosevelt si rifiutò di sparare a un cucciolo di orso bruno della Louisiana. Il cucciolo era stato braccato dai cani e legato a un albero dagli assistenti del presidente, pronto per essere ucciso. Roosevelt si indignò, dicendo che sparare a un orso in quelle condizioni non sarebbe stato sportivo, e ordinò che l'animale fosse liberato. La scelta di Roosevelt fu particolarmente apprezzata perché in quella battuta di caccia (come pare accadesse spesso al presidente) lui non riuscì poi ad abbattere nessun orso, tornandosene a casa senza alcun trofeo.
La notizia giunse ai quotidiani, che soprannominarono l'orso "Teddy Bear". Il giorno successivo, il disegnatore satirico Clifford K. Berryman pubblicò sulla prima pagina del Washington Post una vignetta che mostrava Roosevelt nell'atto di volgere le spalle all'orsetto legato con un gesto di rifiuto. La didascalia drawing the line in Mississippi (stabilire un confine sul Mississippi) metteva in relazione l'accaduto con una disputa territoriale in corso all'epoca fra la Louisiana e lo stato del Mississippi.
I lettori si innamorarono dell'orsetto della vignetta, e in seguito Berryman inserì immagini di orsetti in molti dei suoi disegni. Gradualmente, gli orsetti di Berryman divennero sempre più "piccoli, rotondi e carini", contribuendo a creare lo stereotipo dell'orsacchiotto. Il 29 dicembre, lo stesso Roosevelt scrisse a Berryman dicendo "abbiamo trovato tutti molto gradevoli i suoi disegni di orsetti".
Sull'onda della popolarità di Teddy Bear e degli orsetti di Berryman, il 15 febbraio del 1903 Moris Mitchom e sua moglie Rose misero in vetrina due orsetti di pezza nel loro negozio di Brooklyn, con il cartello Teddy's bears, dicendo che avevano avuto il permesso scritto del presidente di usare quel nome. Il successo fu tale che in seguito i coniugi fondarono una società specializzata nella produzione di orsacchiotti, la Ideal Toy Company.
Nello stesso periodo,Margaret Steiff, proprietaria di una fabbrica di giocattoli in Germania, fu convinta dal nipote Richard a commercializzare orsacchiotti; nel 1903, alla Fiera del Giocattolo di Lipsia, la Steiff vendette 3000 esemplari a un importatore americano. Ancora oggi, la Steiff produce Teddy Bear per l'esportazione in tutto il mondo.
Gli orsacchiotti di inizio secolo avevano gli occhi fatti con bottoni, ed erano snodati alle braccia e alle gambe. Quel tipo di giocattolo rimane un classico ed è ancora commercializzato in numerose varianti, oltre a essere stato preso come modello per molti personaggi di grande popolarità (vedi per esempio Winnie the Pooh e Paddington).
Nel 1904, il Teddy Bear divenne la mascotte della più fortunata campagna presidenziale di Roosevelt.
"Teddy" rimane un nome molto comune per gli orsetti di pezza, non solo nei paesi di lingua inglese. Fra gli orsi celebri che si chiamano "Teddy" si può ricordare, per esempio, quello di proprietà del personaggio Mr. Bean interpretato dall'attore Rowan Atkinson in una celebre serie di comiche televisive. Si chiamava Teddy anche l'orsacchiotto di Christopher Robin Milneprima di essere ribattezzato Winnie."

E adesso che la storia dell'orsacchiotto è chiara a tutti, qualche foto della Grande Mela.

Una vetrina del museo di storia naturale

Al Pacino a Broadway

Monumento ai marinai spariti in mare durante la II guerra mondiale 
e grattacielo di 17 State st.

Elena al Guggenheim

Emiliano Zapata, di Diego Rivera (dettaglio)

In cima all'Empire State Building

In metropolitana

Le quattro sorelle Pinky prendono il ferry per Ellis Island

South street Seaport

Il giocatore di baseball, il nuotatore e il giocatore di pallacanestro 
a St. John the Divine

West Indies Carnaval, Brooklyn, 1

West Indies Carnaval, Brooklyn,2